Paesaggio e futuro Franceschini rilegge il senso del limite
Alla ricerca di un’armonia possibile con la natura Fonte di meraviglia e prodotto di quello che facciamo
Introducendo il libro di Eugenio Turri, Diario di un geografo, Andrea Zanzotto, con la sua lingua poetica unica, richiama il paesaggio come luogo del disincanto. E tuttavia aggiunge che «questo è il mondo assegnatoci, assegnato alla nostra, pur quasi insignificante responsabilità». Così viviamo a rischio in «spappolati coacervi» e nei «frammentatissimi catasti della crosticina di questo infimo, ma per noi unico, pianeta». L’estensione del tema del paesaggio al tema della vivibilità, biologica, sociale, economica, è stata fonte di ispirazione per il grande poeta di Pieve di Soligo, ed è la frontiera degli studi sul valore e il significato del paesaggio, oggi. Ne è prova leggera ed elegante il libro di Alessandro Franceschini, Le questioni del paesaggio, ListLab.
Se è vero che tutto un popolo crea il suo paesaggio, come sostiene Franceschini, avvalendosi degli studi più aggiornati sul tema, vale la pena chiedersi che cosa è e cosa può essere per noi il paesaggio. Sì, per noi che, come scrive Rilke, citato da Franceschini, siamo quegli esseri i cui occhi «son come rigirati»: non ci accontentiamo di vedere e usare l’aperto ambiente intorno a noi così com’è, ma cerchiamo in esso significati e costantemente lo modifichiamo come condizione per viverlo. Qui sta la principale questione: il paesaggio non è solo lo sfondo, lo scenario, delle nostre azioni, o la bella veduta da contemplare, ma è quello che ne facciamo dell’ambiente in cui viviamo, essendo una specie che trasforma sistematicamente il mondo come condizione stessa per abitarlo. E non lo trasforma solo per scopi economici, per approvvigionarsi per la sopravvivenza, ma ancor prima e alla stesso tempo per soddisfare la propria incessante ricerca di significato, essendo noi esseri simbolici dotati di linguaggio verbale articolato.
Quel processo di trasformazione che modella e rimodella i paesaggi della nostra vita ha raggiunto oggi una soglia limite: ci troviamo così a pensare e decidere se e come rapportarci alle risorse del nostro ambiente di vita in modo da garantirne la riproducibilità, pena mettere in discussione la nostra vivibilità. La «crosticina» della vivibilità, come la chiama Zanzotto, cioè la concreta misura dei circa cinquanta centimetri di terreno fertile per le colture, così come la fragilità dell’atmosfera e dell’aria che respiriamo, o l’uso che facciamo dell’acqua necessaria alla vita, divengono sostanzialmente il nostro paesaggio, lo spazio della nostra vicare
Valore Il percorso dello scrittore fa capire doveri e responsabilità di tutti
ta. Il percorso di Franceschini si propone, con attenzione e una certa preoccupazione teorica e operativa, di fornire un piccolo prezioso vademecum per capire meglio le questioni. Il paesaggio è, infatti, da lui trattato come stupore, come fonte di meraviglia, a partire dal primato della visione e dalla passione dello sguardo. Certamente una dimensione decisiva, con importanti ricadute pratiche: si pensi al turismo e al valore di attrazione che ha sempre più il paesaggio come fattore di preferenza di una destinazione, anche se non sempre le politiche e gli operatori se ne rendono conto fino in fondo.
Se il paesaggio è percezione, sembra dirci Franceschini, è necessario non dimenti- che è allo stesso tempo struttura e forma. Qui interviene il principio di responsabilità che non può non connettersi alla domanda relativa a come agiamo e ci muoviamo negli spazi vitali di cui siamo parte, riconoscendo finalmente che il paesaggio come spazio di vita emerge dall’uso più o meno responsabile che facciamo dell’ambiente in cui viviamo. E quell’ambiente non è una realtà che sta là fuori, ma quell’ambiente siamo noi. Il riconoscimento del valore estetico, civile, sociale, economico, del paesaggio potrebbe portarci finalmente a inscriverlo nella nostra identità e nei nostri linguaggi, riconoscendo alla fine che lì il paesaggio è inscritto da sempre, per noi che lo incorporiamo dalle nostre origini e ci individuiamo in esso, imparandolo e facendolo nostro come accade per la lingua madre. Il libro di Franceschini si connette così anche alle questioni locali e alla ricerca ancora minoritaria, purtroppo, per individuare un nuovo racconto del Trentino, capace di sviluppare nuove culture e nuove prassi organizzative ed economiche, in particolare in campo ambientale, urbanistico e turistico. Il paesaggio, in quanto corrisponde strettamente alle tendenze di una nuova domanda sensibile alla biodiversità e all’ambiente, alla qualità della vita e alla sostenibilità, può essere la chiave per la vivibilità dei residenti e per una nuova stagione dell’ospitalità turistica.