Addio banca, meglio la birra artigianale
Leonardo Rizzini gestisce con Andrea Simoni «Maso Alto»: impegno e fatica
Un cambio di vita radicale, dal lavoro in banca alla produzione di birra artigianale. Questa la parabola di Leonardo Rizzini, 36 anni, che ha dato vita all’agribirrificio Maso Alto, a Pressano, sopra Lavis. Oggi l’azienda, fondata cinque anni fa insieme all’amico Andrea Simoni, produce ogni mese circa diecimila litri di birra, utilizzando esclusivamente materie prime di origine trentina. «Fatica e impegno per mantenere tutta la filiera locale» dice Rizzini.
TRENTO Ascolti Leonardo Rizzini mentre illustra a una coppia di turisti stranieri, passo dopo passo, tutta la filiera produttiva della sua birra e ti convinci che questo sia il suo lavoro da sempre. Inglese fluente — «per un periodo ho dato una mano in un birrificio londinese» — prima però di diventare il deus ex machina, insieme al socio Andrea Simoni, della birra artigianale Maso Alto, prodotta nell’omonimo maso a Pressano, sulle colline avisiane, Leonardo — 36 anni, veneto ma ormai trentino di adozione — ha collezionato esperienze molto diverse tra loro: una laurea in sociologia, la gestione di un locale in centro a Verona e anche un periodo di lavoro in banca. «Ma dopo sei mesi mi sono licenziato, non ce la facevo più e avevo capito che la mia strada non era quella». Così inizia l’avventura come gestore della «Mandorla», fortunata esperienza che prosegue ancora oggi e che in pochissimo tempo gli aprirà le porte del mondo della birra artigianale. Dagli studi umanistici, dunque, fino all’idea di un «agribirrificio». «Dopo l’esperienza in banca mi ero informato per gestire un bar, un’idea che avevo in mente da un po’. Un mio amico mi aveva proposto di aprire un locale in centro a Verona: alla fine, l’ho avviato da solo, ho fatto corsi da sommelier e avvicinandomi al vino biodinamico ho sviluppato curiosità anche per la birra artigianale. Ho fatto un corso di degustazione, poi qualcosa sulla produzione e intanto facevo esperimenti casalinghi. Poi ho conosciuto dei ragazzi che nel trevigiano avevano un piccolo birrificio, gli ho dato una mano per un po’ gratuitamente e poi ho conosciuto il mio socio Andrea». Arriva quindi Maso Alto, diecimila litri di birra al mese prodotti in una delle terrazze più belle che dominano la Rotaliana, e una filiera interamente locale e biologica. «I ragazzi di Treviso producevano una birra con una ricetta mia, Andrea anche. Alla fine è stato lui a dirmi che ci sarebbe stata la possibilità di avviare la produzione qui, nel suo vecchio maso di famiglia ora ristrutturato. Siamo partiti in piccolo cinque anni fa e stiamo crescendo, facciamo cose molto semplici ma legate al territorio. Essendo il suo mestiere, abbiamo aperto un birrificio agricolo perché volevamo seguirne tutta la produzione. Fino all’anno scorso chiudevamo la filiera con tre maiali ai quali davamo gli scarti dell’orzo, ma quest’anno ci siamo resi conto che gestire anche loro sarebbe stato un impegno troppo grande». Perché il mondo della birra artigianale, sempre più spesso – ingiustamente – associata a un vezzo quasi modaiolo, richiede fatica e dedizione. «Dietro c’è un lavoro gigantesco. Almeno due o tre volte a settimana ci vediamo all’alba per fare la birra, e il gestire l’intera filiera comporta tanto lavoro contadino e impegno, anche fisico. Per alcuni giorni a settimana ci alziamo verso le 4.30, poi si comincia verso le 5: a mezzogiorno la prima cotta è finita, parte la seconda. Tra le pulizie e mettere a posto laboratorio e magazzino si fanno le 19. Poi hai da imbottigliare ed etichettare. Ci vuole tempo, pazienza, saper aspettare», spiega ancora Leonardo mentre si muove tra i macchinari. Economicamente i risultati sono ottimi, «siamo cresciuti lentamente, ogni anno qualcosina in più. Del resto, essendo un prodotto rurale, contadino, fare l’orzo e il luppolo ci costa il doppio esatto di quanto spenderemmo comprando dalle multinazionali. In molti si fregiano dell’appellativo “artigianale”, però poi acquistano le materie prime dalla grande industria. Per noi invece era importante avere tutta la filiera».
Tra la zona frigorifera e il prato del grande terrazzo che guarda alla Paganella, Leonardo racconta delle giornate al maso, di impegni e aspettative. Descrive con energia e passione la lavorazione del luppolo, i fili da tirare, la trebbiatura dell’orzo. «Andrea è quello che cura di più l’aspetto del lavoro agricolo, do una mano anche io ma la parte che preferisco è quella della produzione. La parte del luppolo va seguita, va tenuto sempre d’occhio, poi c’è la raccolta». Sul fronte della vendita Leonardo e Andrea si sono affidati a dei distributori, ma il Maso è un luogo centrale rispetto al far conoscere l’attività: visite di singole persone, gli ospiti del bed&breakfast ricavato all’interno del maso. «Tempo fa abbiamo avuto anche una scolaresca: due classi di un istituto che ci aveva contattato per far vedere ai ragazzi la produzione della birra. Eravamo contentissimi». Poi c’è la consueta grande festa di Ferragosto: musica, carne alla griglia e le birre del maso. Aperta a tutti, anche solo per chi avesse voglia di rilassarsi qualche ora tra i filari o ballare al tramonto. Sul suo percorso personale Leonardo aggiunge ancora: «Quelli dell’università sono stati gli anni più belli, mi sarebbe anche piaciuto continuare a studiare, ma una volta trovato lavoro è difficile rimettersi sui libri. In generale sono una persona intraprendente, e mi è sempre piaciuta molto l’idea di aprire nuove attività, anche se questo implica, come adesso, lavorare praticamente 7 giorni su 7. Come detto, tutto questo comporta impegno, ma io e Andrea pensiamo che le nostre birre debbano essere prodotti che per prima cosa berremmo noi con piacere. Non filtriamo, non pastorizziamo: facciamo qualcosa che sia sano, che devo poter bere io, prima di tutto».
Il percorso «Abbiamo iniziato cinque anni fa in piccolo e cresciamo sempre di più»