Il climber Larcher «Marmolada insuperabile»
Il climber sarà sabato a Bressanone: la Marmolada è il posto più bello
Il climber altoatesino e tracciatore di vie Jacopo Larcher, protagonista sabato a Bressanone di una iniziativa benefica, si racconta: «La Marmolada è il posto più bello».
TRENTO Un climber. Un atleta. Ma, prima di tutto, un tracciatore di vie. Jacopo Larcher sorride: «Una passione che è diventata un lavoro». Altoatesino di nascita, da dieci anni residente in Austria, Larcher parla dell’arrampicata con gli occhi che brillano. «Spero di continuare a fare quello che mi rende felice» ammette. E dopo aver girato mezzo mondo, tra palestre e falesie, è alla Regina delle Dolomiti che si rivolge quando vuole scalare in un ambiente magico: «La Marmolada è il posto più bello che ci sia». Il climber altoatesino sarà protagonista sabato a Bressanone di una iniziativa legata alla Giornata mondiale dell’arrampicata: dalle 15, alla palestra Vertikale, sarà possibile arrampicare proprio con Larcher nell’ambito del progetto «Walls are meant for climbing» della The North Face, che punta a raccogliere fondi per il Khumbu Climbing Center in Nepal.
Larcher il tracciatore di vie: non è un’attività così diffusa. Com’è nata questa passione?
«È vero, non è comune. In realtà, è un’attività iniziata per motivi economici, quando ancora frequentavo le scuole superiori. Mi aveva sempre interessato l’aspetto creativo della tracciatura e quando ho avuto la possibilità di provare prima nella palestra di Bolzano e poi in altre palestre in Alto Adige ho capito che potevo avere anche un ritorno economico per finanziare i miei viaggi in giro per il mondo per arrampicare. Da lì ho iniziato a tracciare sempre più vie: prima nelle palestre, poi per le competizioni. All’epoca gareggiavo ancora e quindi tracciavo soprattutto le vie per le gare regionali e, quando sono passato nelle categorie superiori, per le categorie giovanili. Un’attività che mi ha coinvolto sempre di più, tanto da spingermi a tracciare anche vie per gare importanti. Diventando alla fine il mio lavoro».
Come si diventa il tracciatore di vie?
«Ho partecipato a un corso della federazione italiana di arrampicata sportiva e ho conseguito il brevetto di tracciatore. Ci sono tre step a livello nazionale e poi il brevetto internazionale».
Qual è la gara più importante che ha tracciato?
«Il Campionato del mondo di boulder, anche se non come capo tracciatore. Poi diverse gare di coppa del mondo e molte gare a livello nazionale e regionale».
Perché ha smesso di gareggiare?
«Ho smesso per diversi motivi. Il più banale è per degli screzi con la federazione: all’epoca non erano organizzati come oggi. Poi perché giravo il mondo per le gare e vedevo solo palestre e camere d’albergo. Io volevo viaggiare per scalare, ma anche per scoprire il mondo».
Quando ha iniziato ad arrampicare?
«A dieci anni. Ho partecionorarli, pato a un corso di arrampicata per ragazzini del Cai di Bolzano. Prima di allora camminavo in montagna con i miei genitori. Poi un giorno mio padre, rientrato da una gita di scialpinismo, mi chiese se volevo iscrivermi al corso, immaginando dicessi di no. Invece accettai. Non ho più smesso, frequentando anche due corsi contemporaneamente».
Ha iniziato ad arrampicare in palestra?
«Sì. E ho iniziato a gareggiare attraverso amici che facevano riferimento al centro di Arco: un modo, per me, per stare insieme agli altri».
Lei ha arrampicato in molte parti del mondo. Ma qual è il posto più bello dove ha arrampicato, nel mondo e nella nostra regione?
«Per quanto riguarda la nostra regione, devo dire che ho passato davvero tanto tempo ad Arco: è considerato uno dei posti più famosi in Italia per arrampicare. Per l’arrampicata sportiva è il posto migliore a livello nazionale. Ma mi piace anche la falesia Eiszeit a Passo Gardena. E ammetto che per le via lunghe che oggi mi impegnano sempre di più la Marmolada è il posto più bello che ci sia: più viaggio più mi accorgo che il posto in cui viviamo non ha paragoni».
E per quanto riguarda le vie nel resto del mondo?
«Scalo molto volentieri a Yosemite, in Sudafrica per il paesaggio e a Indian creek nello Utah».
Quali sono i suoi obiettivi futuri?
«Uno su tutti: continuare a fare quello che mi fa felice, vivere l’arrampicata come una passione e non come un dovere o un lavoro».