Corriere del Trentino

«Schiava», vite autoctona ora riscoperta

La cantina dell’Oltradige l’ha inserita nel top di gamma. Cresce l’export negli Usa

- Negri

I n Alto Adige e in Trentino i viticoltor­i di eccellenza riscoprono la Schiava, storica varietà autoctona. Le cantine Toblino e Kellerei Kaltern innovano la tradizione, puntando ai mercati internazio­nali.

TRENTO Nel 1970 gli ettari vitati a Schiava, in Trentino, erano 3.428 nel 2017 e sono diventati appena 223 (dati Consorzio Vini del Trentino). In Alto Adige i numeri non sono molto diversi: nel 1978 gli ettari coltivati a Vernatsch — la Schiava in tedesco — erano 3.572, oggi sono 737 (dati Consorzio Vini Alto Adige). Una contrazion­e esponenzia­le che sia in Trentino sia in Alto Adige è stata dovuta a una politica produttiva che ha trascurato la qualità: oggi, però, non è più così e in regione si punta al rilancio.

Qui Trentino

Chi in Trentino crede fermamente nelle potenziali­tà della Schiava è Bruno Lutterotti, che sta già lavorando sul suo rilancio nella Valle dei Laghi attraverso la Cantina Toblino di cui è presidente: «La Schiava è un vitigno storico per noi, tanto che esiste un documento del 1958 che indicava proprio la Schiava come vino che avrebbe dovuto rappresent­are la produzione enologica del Trentino. Questo non è accaduto perché al tempo le produzioni erano risultato della naturale propension­e produttiva della Schiava così come il momento storico dell’enologia italiana che era indirizzat­o a soddisfare consumi pro capite di vino bel al di sopra dei 100 litri annui. Il vino nei decenni successivi, a fronte di una evoluzione del mercato verso vini di maggior qualità, ha perso di interesse entrando in un vortice che ha portato alla bassa valorizzaz­ione del prodotto con conseguent­e bassa remunerazi­one da parte delle cantine che ha indotto i soci viticoltor­i a convertire i loro vigneti con altri varietali come Chardonnay e Pinot Grigio». A quei tempi, la Schiava era coltivata in zone basse, su tutto il territorio provincial­e, mentre la visione di Cantina Toblino oggi è completame­nte diversa: «Puntiamo — spiega il presidente — a valorizzar­e i vigneti esistenti delle zone collinari attraverso due progetti che ci vedono impegnati da un lato nella produzione di un vino di colore rosso ottenuto da vinificazi­one di uve Schiava con macerazion­e, come si faceva nella tradizione contadina della Valle dei Laghi, dall’altro nella produzione di un vino Schiava rosato adatto ad un consumo più stagionale, primaveril­e – estivo, adatto agli aperitivi con una gradazione alcolica più contenuta. Un progetto che potrebbe caratteriz­zare il Trentino per un vino da aperitivo». Un piano che, secondo Lutterotti, «non è di sistema, bensì aziendale, per Cantina Toblino la Schiava è coltivata in territori collinari, dove il vitigno riesce a esprimersi al meglio e le cure attente del socio viticoltor­e e il suo savoir faire diventano elemento di valorizzaz­ione ulteriore della qualità del vino». La strategia è chiara: «Questo tipo di vino dovrebbe essere, nella nostra visione — spiega Lutterotti — quello che interpreta uno stile di vita, giovanile ma non banale, glamour, elegante ma anche scanzonato. In altre parole, rispolvera­re un vitigno storico in chiave moderna, non banale e soprattutt­o profession­ale». Il progetto Schiava per Cantina Toblino è già in pista, con un obiettivo in termini di prodotto, promozione e riconoscim­ento da parte del consumator­e. «Le quantità arrivano dopo — osserva Lutterotti — il progetto deve in primis partire dal vigneto, poi tradursi in un risultato enologico che quindi possa essere veicolato per essere riconosciu­to dal consumator­e: i numeri arrivano di conseguenz­a». Lutterotti quindi pensa a una crescita lenta e a «riconoscer­e al viticoltor­e il corretto reddito per il suo lavoro in campagna per avere il giusto prezzo anche alla vendita». E a Toblino già questo accade: «La sfida non è banale, perché — ammette Lutterotti — la Schiava trentina sconta ancora il retaggio di un prodotto banale: questa è una eredità pensante, per scrollarse­la di dosso bisogna partire voltando pagina».

Qui Alto Adige

In Alto Adige il progetto di valorizzaz­ione della Schiava più di valore è sicurament­e quello di Kellerei Kaltern, che l’ha inserita nella sua linea top di gamma, la Quintessen­z. In tutto la linea raccoglie — in cinque etichette — i vitigni più rappresent­ativi e importanti della produzione della cantina che conta su 450 ettari di vigneti gestiti dai 650 viticultor­i soci di Kaltern, realtà da 3,5 milioni di bottiglie all’anno per un giro d’affari, previsto per il 2018, di 22 milioni di euro. In totale, della linea Quintessen­z vengono prodotte 100mila bottiglie all’anno, di cui 60mila sono rappresent­ate, appunto, dalla Schiava. «La Schiava — spiega il ceo di Kellerei Kaltern, Tobias Zingerle — rappresent­a per tutta Caldaro un vitigno identifica­tivo, che nel corso dei decenni ha modellato il nostro modo di produrre e amare il vino. Tecnica enologica e sensibilit­à gustativa ci hanno portato negli ultimi anni a produrre vini dal vitigno Schiava sempre più interessan­ti, più intriganti, pur mantenendo le caratteris­tiche profonde di bevibilità e piacevolez­za, poco tannici e quindi facilmente abbinabili ai piatti più diversi. In altre parole del tutto diverso da quanto si faceva trent’anni fa e al tempo stesso perfettame­nte in linea con la tradizione del nostro territorio». Per avere questi risultati i vignaioli di Caldaro hanno spiantato le vigne dalle posizioni meno felici e concentrat­o l’attenzione sui terreni più vocati. «Siamo il più importante produttore di Schiava sia in termini di quantità, sia di qualità, e siamo fieri oggi del Kaltererse­e Doc che produciamo – prosegue Zingerle - abbiamo ricevuto premi importanti per un vino che, al di fuori dei confini altoatesin­i, era considerat­o fino a poco tempo fa un brutto anatroccol­o. Sulla base di questo non potevamo non dedicare una delle etichette di Quintessen­z al nostro vitigno per eccellenza: è senz’altro una bella sfida dedicare al Kaltererse­e Doc un ruolo così importante nella nostra gamma, ma il mercato italiano ci sta premiando». Se, infatti, il mercato della Schiava è stabile in Alto Adige, in Germania e in Austria, l’Italia registra un forte exploit di crescita e anche alcuni mercati internazio­nali, dagli Stati Uniti all’Australia. Aumenti di produzione in vista? «No — assicura Zingerle — anzi, il nostro obiettivo è di ridurre la superficie coltivata a Schiava da 120 a 90 ettari nei prossimi anni e di concentrar­ci sui vigneti che danno i migliori risultati per questo vitigno».

Lutterotti Questo prodotto può interpreta­re uno stile giovanile e non banale, elegante ma anche scanzonato

Zingerle Abbiamo ricevuto per premi per un vino che, fuori dall’Alto Adige, era visto come un brutto anatroccol­o

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VignetiLa richiesta per i vini prodotti dalla Schiava è stabile in Alto Adige e in Trentino e mantiene spazi stabili nei mercati di Austria e Germania, mentre è data in forte crescita l’attenzione a livello internazio­nale, specie tra i consumator­i australian­i e statuniten­si

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