Larcher: oggi c’è un boom di tiri estremi
Se Arco è tornata sulle copertine delle riviste d’arrampicata il merito è di alcuni ragazzi terribili che nell’ultimo periodo sono riusciti a ridare lustro al suo blasone un po’ appannato. Poco più di un anno fa Adam Ondra liberava
Queen line (9b) a Laghel, qualche mese dopo a pochi metri di distanza — e sempre per mano del fuoriclasse ceco — cadeva anche One slap, con lo stesso grado. Se consideriamo che l’unico altro 9b italiano è Lapsus, nella falesia di Andonno, e che tra Laghel, Massone ed Eremo ci sono diversi 9a e 9a+, si può ben dire che il comune dell’Alto Garda è nuovamente alla ribalta mondiale. Lo conferma Rolando Larcher, fortissimo scalatore trentino che ha vissuto la prima era d’oro di quello che allora si chiamava free climbing: «Fino al termine degli anni ‘80 la valle del Sarca era un centro di primissimo livello — conferma —. Quell’input si iniziò a perdere nei primi anni ‘90, quando la scalata passò dal verticale allo strapiombante. Arco rimase indietro e con l’eccezione di Underground (9a) a Massone, non si registrarono più nuovi tiri di difficoltà estrema».
Larcher liberò Elephant baby (8a), Gravity games (8a+) e Maratona (8b+) tra il 1986 e il 1989. Vie nate nella scia dell’esperienza di un gruppo di pionieri che rispondevano al nome di Manolo, Mariacher, Bassi: visionari che avevano inventato la magia dello spit all’ombra del Colodri. Quella magia si perse un po’ perché i vari interpreti seguirono destini diversi, un po’ perché il mondo dell’arrampicata cambiò: «Se c’è qualcosa che in valle non manca è la roccia — prosegue Larcher —, ma Arco al tempo era molto legata a un certo tipo di arrampicata tecnica e verticale che passò di moda. Bisogna poi dire che è il livello dello scalatore a fare la differenza: ora che questi campioni moderni si sono insediati dalle nostre parti vediamo di nuovo un boom di tiri estremi».
Per Rolando siamo già in una fase nuova: «Chi a maggio è venuto alla gara di arrampicata al Muse se n’è accorto: i fuoriclasse di oggi si tengono su prese minuscole, hanno un’esplosività eccezionale, un massimale incredibile. Questa è l’evoluzione dell’arrampicata: i nuovi 9a, 9b di Arco li vedi a Laghel, su un muro che non è altissimo e che fino a venti anni fa veniva utilizzato solo per il dry tooling (l’arrampicata con le piccozze su muri senza ghiaccio, ndr)». I fratelli Mabboni scoprirono quella parete, Ghisolfi, Megos e Ondra ci arrampicano oggi. In un domani che è ancora lontano probabilmente su quei tiri scaleranno un numero di climber paragonabile a chi oggi affronta l’8a. Eppure l’effetto di traino sulla località va ben oltre i top climber: «Certe prestazioni servono a dare lustro al luogo e a richiamare scalatori di livello anche inferiore. Arco è una di quelle mete che un climber nella vita non può non visitare almeno una volta».