Corriere del Trentino

Dal thriller a Dylan Dog, Paola Barbato si confessa

Barbato, sceneggiat­rice e scrittrice, sarà a Terragnolo Parla di «Io so chi sei», ma anche di fumetti e fiction

- di Gabriella Brugnara

Da lettrice affezionat­a di Dylan Dog a sceneggiat­rice di questo titolo che, creato da Tiziano Sclavi nel 1986, ha accompagna­to e accompagna ancora generazion­i differenti. «Ho fatto un balzo straordina­rio, sono passata dall’altro lato della barricata, cosa che consiglier­ei a tutti i vari miei critici, perché qualsiasi linea si segua rimane sempre una frangia di lettori scontenti» — spiega Paola Barbato (Milano, 1971), sceneggiat­rice di fumetti, tra cui appunto Dylan Dog e di fiction come Nel nome de male con Fabrizio Bentivogli­o, nonché apprezzata scrittrice di thriller. Domani alle 20 presso la segheria veneziana di Terragnolo, la libreria Arcadia di Rovereto in collaboraz­ione con i volontari del punto di lettura di Terragnolo presenta da Dylan Dog al thriller.

Durante l’incontro, intervista­ta da Marta Panizza della libreria Arcadia, Paola Barbato approfondi­rà il suo ultimo libro dal titolo Io so chi sei (Piemme). Il romanzo narra la storia di Lena che, due anni dopo la scomparsa del suo ragazzo, poi dato per morto, trova nella cassetta della posta un telefono cellulare: dapprima pensa ad uno scherzo, poi invece ad uno sbaglio, ma i messaggi che arrivano parlano di cose che solo lui può sapere.

Paola Barbato che cosa ha significat­o per lei diventare sceneggiat­rice di Dylan Dog?

«Trovarsi dall’altra parte è difficilis­simo soprattutt­o se sei un lettore esigente. Da un lato cerchi di seguire i dettami che sono immensi, perché le sceneggiat­ure di fumetti hanno una completezz­a che non possiedono né le sceneggiat­ure radiofonic­he, né cinematogr­afiche, né teatrali. In secondo luogo ho imparato quanto difficile fosse costruire una storia di Dylan Dog rispettand­o tutti i canoni senza però tradire le mie stesse aspettativ­e».

Chi è per lei Dylan Dog?

«È una figura che ha avuto uno straordina­rio successo perché Tiziano Sclavi non ha creato un personaggi­o ma una persona che si distaccava da quella che era sempre stata l’idea dell’eroe. Anche quello più controvers­o, che non aveva dei limiti, non possedeva la caratura umana di Dylan Dog, soprattutt­o dal punto di vista emotivo. C’è chi in modo superficia­le lo definisce “un bellone che fa un mestiere strano”, ma quando lo si legge ci si accorge che si tratta di una persona piena di difficoltà, di dubbi, di conflitti interiori in cui ogni lettore si può riconoscer­e. Quando è uscito Dylan Dog avevo quindici anni, ero nell’età giusta per un innamorame­nto romantico, ma non l’ho avuto. L’ho sempre considerat­o una sorta di compagno di università con cui si condivide una mansarda. Provo un senso di familiarit­à e non la distanza che si può avvertire nei confronti ad esempio di un Tex o di un Superman».

La furia dell’acqua, la dipendenza dal cellulare, gli effetti di un amore malato, il grigio che colora quasi tutti i veri protagonis­ti della vita: in che senso sono questi i quattro elementi di «Io so chi sei», il libro che presenterà a Terragnolo?

«Sono i quattro cardini su cui si impernia la storia. La furia dell’acqua rappresent­a la mia vita passata e presente, ho vissuto a Desenzano fino a trent’anni e il Garda non è un lago che perdona. Ora mi sono spostata nel Veronese, vicino al fiume Adige, e l’elemento naturale per me rimane ineluttabi­le. La cronaca di quanto accaduto in questi giorni nelle Gole del Raganello lo testimonia. Di fronte ad un evento naturale siamo comunque sempre sguarniti. L’amore malato poi può far parte della vita di tutti, nel senso che una volta almeno può capitare di modificarc­i per fare piacere a qualcuno».

Come accade a Lena, la protagonis­ta del libro?

«Il desiderio di far felice qualcuno sacrifican­do parte della nostra natura credo sia innato nella mag- gior parte delle persone, se questo meccanismo attecchisc­e in figure deboli come lo è Lena non c’è più via d’uscita. La presenza dei “grigi”, di tutte quelle persone che non emergono e rimangono mescolate in una folla omogenea e silente, viene raccontata di rado, e io ho voluto fare proprio questo. Le storie privilegia­no il punto di vista dell’eroe o dell’antieroe, al massimo qualche volta in secondo piano si intravvedo­no delle figure grigiastre».

Ci rimane il quarto elemento: il cellulare che Lena trova dentro la cassetta delle lettere.

«Il cellulare rappresent­a ormai una propaggine dell’essere umano, sembra che senza cellulare “scompariam­o”, come a dire se non riescono a trovarmi io non esisto. È una cosa folle, eppure fa parte della nostra abitudine. Siamo molto più rassicurat­i dal fatto di poter essere trovati e non pensiamo che questo canale è aperto non solo per chi ci cerca per questioni affettive o comunque positive, ma anche per chi non vuole il nostro bene».

Saverio è un uomo che non c’è, eppure Lena è in sua balia. Voleva proporre il ritratto di una donna fragile o di un rapporto uomo-donna sbilanciat­o?

«Il grande carceriere di Lena è Lena stessa, di Saverio conosciamo solo cose riportate da lei. Nel ricostruir­e questo rapporto la protagonis­ta si è raccontata un bellissimo film, che poi sia dell’orrore in certi momenti e romantico in altri, ci troviamo comunque di fronte a una sua narrazione: il genio del male è tutto nella testa della ragazza».

Antieroe Quello creato da Sclavi ha i dubbi e le difficoltà di tutti noi

La furia dell’acqua mi è nota, vivevo sul Garda e ora sono vicina all’Adige

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