Aree di Trento nord, il mostro è servito
L’allarme dell’architetto Beppo Toffolon, su via Brennero destinata a essere un’anonima periferia, deve fare riflettere. Nello studio delle aree del quadrante nord, e di via Brennero come asse urbano della città, l’architetto catalano Joan Busquets consulente per la variante al Prg 2001 le definiva «uno di punti chiave per la connessione fra la città consolidata a sud e le sue espansioni settentrionali». Si trattava di dare un assetto organico alla città, connotato da realismo e non da utopiche trasformazioni urbanistiche, retaggio di un recente passato che ha visto depredato il nostro territorio. L’impostazione dei primi consulenti, gli urbanisti (Bocchi, Zanon, Mioni) si basava sulla fine della fase espansiva, la limitazione delle nuove costruzioni e la riqualificazione dell’esistente, il recupero dei vuoti non urbanizzati come equipaggiamenti urbani, facilmente accessibili attraverso collegamenti, servizi e verde attrezzato. Una città sulle rive del suo fiume, una città arcipelago, una città permeabile, basata su un postulato del pensiero tradizionale dove l’urbanistica organizza nel tempo l’utilizzo delle risorse, secondo i bisogni della collettività. Lo scontro con quanti ritenevano possibile lo sviluppo urbano solo se coniugato alla rendita fondiaria con nuove aree edificabili e nuovi volumi era inevitabile. Liquidati i tre saggi, l’allora sindaco di Trento Alberto Pacher, con la collaborazione di Busquets, cambia l’impostazione del piano e immagina Trento come città compatta: interramento della ferrovia e boulevard con il recupero di spazi edificabili che avrebbero finanziato lo spostamento dello scalo Filzi all’interporto, aree edificabili a Trento nord per milioni di metri cubi, compresi i 500.000 di ex-Sloi e Carbochimica per consentire ai privati di finanziarne il disinquinamento.
Non va peraltro dimenticato il piano di urbanistica commerciale del comune di Trento (2004) laddove, nella relazione del consulente si descrivono delle aree in cui «la frammentazione dei centri commerciali a nord di Trento, nega qualsiasi tipo di relazione con lo spazio circostante, soprattutto quello pubblico» e quindi la necessità di realizzare uno «spazio urbano piacevole, accessibile e protetto, una zona multifunzionale ricca di servizi complementari all’interno della quale collocare funzioni commerciali di rango elevato che sappia proporsi come baricentro della riqualificazione urbana della periferia».
Un disegno urbano immaginario quello tratteggiato da Busquets, basato su un mercato immobiliare ancora in fase espansiva che non ha saputo interpretare i primi segnali della bolla speculativa che ancora aggi attanaglia il Paese. Quale concretezza ha l’urbanistica, nella sua logica pianificatoria per poter formulare previsioni sui mutamenti economici e sulle dinamiche che dovrebbero generare la configurazione della città? Quale, la concretezza del disegno urbano e la sua coerente realizzazione? E’ sufficiente per un territorio la redazione di un piano di sviluppo economico? Il risultato del fallimento della pianificazione è palese. Nessun obiettivo realizzato, niente boulevard, niente porta a nord di Trento, nessuna nuova connessione urbana ma solo aree congestionate. A Trento nord, non una trama tra la città consolidata e la sue periferie, ma una serie di vuoti edilizi che non hanno futuro. Il degrado urbano è evidente. Ma la politica non si interroga, vanno solo eliminati i cosiddetti «ecomostri». Pur di risolvere almeno in parte le criticità si rinuncia al «disegno urbano» per anni vagheggiato. Si «scardinano» le previsioni del Prg, si consente il recupero senza trasformazione urbanistica di anonimi volumi edilizi con specifiche destinazioni commerciali e/o terziarie. Ultimo caso, ma non per importanza, riguarda l’area ex Frizzera, tra via Brennero e via Caduti di Nassirya. Il Progetto speciale Scalo FIlzi dell’architetto Busquets prevedeva su una superficie di circa 25.000 metri quadrati la costruzione di corpi edilizi con destinazione mista per una volumetria complessiva di 56.000 metri cubi e un’area da cedere all’amministrazione comunale per servizi pubblici di 10.500 metri quadrati. Nulla di tutto questo. L’amministrazione ha sostanzialmente garantito ai proprietari (Raetia sgr) il riutilizzo dei volumi. La stessa soluzione è stata consentita immediatamente a nord. La cosa che lascia comunque perplessi, riguarda la classificazione delle aree come «aree di controllo influenzate dagli impianti industriali già esistenti a nord della città di Trento». L’area era storicamente vincolata all’obbligo di un piano attuativo e alla redazione di uno studio di caratterizzazione del terreno con certificazione della qualità dei suoli. Il mostro è servito, con buona pace dei solerti consiglieri comunali, che si beano della avvenuta demolizione/riqualificazione.