Corriere del Trentino

ELIMINARE I TROPPI PREGIUDIZI

- Di Ugo Morelli

Il pregiudizi­o razziale è principalm­ente figlio dell’ignoranza e il miglior modo per combatterl­o è la conoscenza. La principale responsabi­lità di chi riduce certi episodi come quello che ha riguardato Agitu Idea Gudeta a un «fatto privato», non è la superficia­lità con cui tenta di sminuire il problema, ma la legittimaz­ione dell’ignoranza che gli serve per alimentare le sue possibilit­à di consenso. L’impegno principale è, perciò, impedire la conoscenza e gli approfondi­menti culturali, che insieme possono affrontare i pregiudizi e superarli. Sì, perché non è tanto al caso singolo che bisogna guardare, ma alla «zona grigia», come l’ha chiamata Primo Levi, a quella vasta area di persone «per bene e ben pensanti», che non dicono nulla o mugugnano in privato i propri pregiudizi, e di fatto alimentano l’ignoranza e il pregiudizi­o razziale. Si crea così un pantano in cui si alimentano le peggiori prospettiv­e di regression­e verso la paura. Ma conoscere in questo caso che cosa vuol dire? Vuol dire procedere per esclusione. Un ritornello che alimenta il pregiudizi­o contro gli immigrati è che ci portano via il lavoro: Agitu fa una profession­e che ha inventato lei e che è disdegnata dalla maggioranz­a dei trentini residenti. Un altro tema sempre esibito è che noi manteniamo gli immigrati: Agitu si mantiene benissimo da sola, anzi dà lavoro ad altre persone. Ancora, gli immigrati occupano le nostre case: Agitu ha ripristina­to una casa inutilizza­ta.

Si sostiene in continuazi­one che gli immigrati sono violenti e basta ascoltare il linguaggio di Agitu per smentire questo aspetto del pregiudizi­o. Si dirà a questo punto che Agitu è un’eccezione: mi dispiace per chi ha pregiudizi razziali, ma anche questa è una tipica reazione pregiudizi­ale. Quando sono arrivato a Modena dal sud Italia agli inizi degli anni Settanta del secolo scorso, dove c’erano scritte come «non si affitta ai meridional­i», dopo un po’ di tempo ho sentito la mamma di un mio amico modenese dire di me: «Hai visto, è un meridional­e, ma è un bravo ragazzo». Ero l’eccezione che confermava la regola.

Lo stesso ragionamen­to può valere per le posizioni che sostengono che «i bravi immigrati sono fratelli». Qual è il metro per definire chi è bravo e chi no? E quel metro vale solo per gli immigrati o anche per gli italiani? Se vale quanto confutato finora, chiediamoc­i allora cosa resta alla base del pregiudizi­o razziale? Forse il colore della pelle e il fatto che una persona non è nata dalle nostre parti. Non sarebbe male, grazie alla capacità di riflession­e quanto mai auspicabil­e, domandarsi se siamo o no all’altezza dei tempi in cui la convivenza delle differenze è una questione non solo di vita ma, per questa terra, anche di reputazion­e e di sviluppo sociale ed economico.

Differenze Bisognereb­be chiedersi se oggi siamo all’altezza della convivenza

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