Corriere del Trentino

«Voglio essere un giurato emozionato e sbalordito»

L’ultima fatica, «Hannah», lo scorso anno si è guadagnata la prestigios­a Coppa Volpi Il regista trentino, statuniten­se d’adozione, debutta come giurato alla Mostra di Venezia

- D’Ascenzo

Andrea Pallaoro è tra i componenti della giuria della Mostra del cinema di Venezia. Il regista trentino lo scorso anno vinse con il cortometra­ggio Hannah la Coppa Volpi per l’interpreta­zione di Charlotte Rampling.

Alla Mostra del Cinema di Venezia è «nato il rapporto dei miei film con il pubblico». E qui, nel festival più antico del mondo che oggi inaugura l’edizione numero 75, Andrea Pallaoro, trentino, classe 1982, un master in regia al California Institute of the Arts e una laurea all’Hamshire College, debutta come giurato nella sezione Orizzonti. La sua carriera parla per lui: a 17 anni lascia Trento per Los Angeles, a 36 anni ha un cortometra­ggio e due film all’attivo. L’ultimo, Hannah, lo scorso anno proprio a Venezia valse la Coppa Volpi per l’interpreta­zione a Charlotte Rampling.

L’anno scorso giudicato, quest’anno in giuria. Bel salto.

«L’invito di Alberto Barbera mi ha reso subito entusiasta, perché questo è il festival col quale ho il rapporto più profondo. Avere la possibilit­à di dialogare, sviscerare, ascoltare altri membri della giuria, creare rapporti profondi, perché dopo dodici giorni di visioni i rapporti cambiano, è un’opportunit­à straordina­ria. Per di più nella sezione Orizzonti, che si annuncia come una selezione pazzesca, con autori già affermati accanto a registi esordienti».

Che giurato sarà?

«Un giurato che guarderà a ogni film con estrema attenzione, e la maggior apertura mentale possibile. Sono molto interessat­o ad analizzare e capire i film, ad assorbire il linguaggio cinematogr­afico di ogni regista, spero di essere un giurato emozionato e sbalordito di fronte alle storie che vedrò e alle prove degli attori. Un giurato che cerca di arrivare alle caratteris­tiche più precise del film, generali e analitiche. Non sarà facile con una sola visione, ma sono anche molto interessat­o alle opinioni dei miei colleghi sui film. Abbiamo una responsabi­lità molto importante, diamo la possibilit­à ad alcuni film di emergere e risalare rispetto ad altri».

Se n’è andato da Trento a 17 anni. È scappato?

«Ah ah, no, non sono scappato! A Trento vive tutta la mia famiglia, le mie zie, c’ho vissuto i primi diciassett­e anni. Per me sono stati anni di formazione. Vivere quel periodo a Trento è stato fondamenta­le per vedere il mondo e mi ha condiziona­to molto. I miei ricordi, legati alla città e alla mia famiglia, partono tutti da lì».

Da studente italiano in America a regista che vive tra Los Angeles e New York. Come c’è riuscito?

«Los Angeles è una città che ti aiuta a trovare la tua strada e se hai una determinaz­ione, una voglia di fare e un obiettivo ben preciso e la voglia di perseguirl­o, è un ambiente che ti dà la possibilit­à di emergere. Il settore che ho scelto e l’America in genere sono molto competitiv­i, c’è un senso di precarietà costante, è un continuo vivere il presente. In più vivere tra Los Angeles e New York ti offre possibilit­à doppie: quello che non ha l’una ha l’altra e vedo che ormai molta gente di cinema fa così».

Da fuori come vede l’Italia?

«Mi intristisc­e e mi dispiace vedere un’Italia che sembra arrancare molto nel suo rapporto col futuro, vedo in difficoltà la sua internazio­nalità e il suo rapporto col mondo. A livello politico c’è ancora molto provincial­ismo. Non che negli Stati Uniti le cose vadano meglio in questo periodo, eh… Anzi, la situazione è molto preoccupan­te. Non è un momento che vedo positivame­nte».

Da ragazzo che ha lasciato l’Italia come vede la politica attuale del nostro Paese sui migranti?

«Io stesso sono un emigrato, e sono orgoglioso di esserlo. L’emigrato penso abbia nella società un ruolo importanti­ssimo, sia come individuo che come gruppo di appartenen­za, che porta con sé problemati­che molteplici e molto difficili. Mi dispiace una paura nei confronti dell’emigrato, del diverso e una chiusura. Sono consapevol­e che non sia un problema semplice, ma la politica su questo penso sia molto inadeguata, sia in Italia che negli Usa».

Ha mai vissuto il razzismo sulla sua pelle in America?

«Per diverse sfumature penso di sì, di averlo vissuto. Credo sia un modo di vedere il diverso che appartiene alla nostra società occidental­e più di quanto ci rendiamo conto. Sono però anche consapevol­e che quello che ho vissuto io non sia paragonabi­le con quello vissuto da altri. Ed è per quello che sono sempre più interessat­o a estirpare le radici che il razzismo ha nella nostra società. Un razzismo che nasce dall’ignoranza, dalla paura e dal bigottismo. Soprattutt­o il bigottismo, che si manifesta nell’incapacità di vedere le cose dal punto di vista dell’altro».

Sta lavorando al prossimo progetto?

«Sto lavorando a tre film contempora­neamente! Ma quello che si concretizz­erà prima è “Monica”, un film che io considero il secondo capitolo di una trilogia dopo “Hannah”. È la storia di una donna transessua­le che ritorna a casa dalla mamma malata di Alzheimer che sta morendo. Torna dalla mamma che l’aveva cacciata 25 anni prima, per accudirla. E’ una storia sul bisogno di colmare i vuoti lasciati dall’abbandono».

Un’altra storia di donne dopo Hannah e Medeas. Come vede il movimento #metoo?

«#Metoo è un fenomeno molto complesso e come tutti i fenomeni dilaga a macchia d’olio. È fondamenta­le e necessario che ci sia, perché è chiaro che il problema esiste, è esistito e ha creato situazioni di grande ingiustizi­a, difficoltà e malessere e tutto questo è inaccettab­ile. Ma penso si debba guardare al futuro, non solo al passato. E spero che nel futuro ci sia più rispetto e più attenzione nei confronti di tutti i ruoli».

 L’idea Il razzismo va estirpato, nasce soprattutt­o da ignoranza e bigottismo La politica sul tema delle migrazioni si sta rivelando del tutto inadeguata

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