Pd, salta l’assemblea in attesa di Daldoss I dem pronti a modificare il simbolo
Ghezzi: «Il dialogo con i civici è in corso, ma vogliamo che ci siano anche i nostri alleati»
Il giornalista Stiamo cercando di essere un ponte che riunisca tutti
TRENTO
Il Pd ha rinviato a venerdì l’assemblea fissata per ieri sera. Motivo? Non si sarebbe deciso nulla perché le trattative con Carlo Daldoss condotte da Paolo Ghezzi per conto dei democratici non mostrano ancora un quadro chiaro. «Io — ripete intanto il giornalista — cerco ancora di riunire tutte le forze che non sono diventate seguaci della Lega». L’obiettivo sarebbe quello di un Cln in chiave antileghista, ma la strada da percorrere è stretta, in salita e irta di ostacoli.
La politica, si sa, è l’arte del possibile e la sua imprevedibilità è tale da contraddire perfino la legge di gravitazione universale, secondo cui «nell’Universo due corpi si attraggono in modo direttamente proporzionale al prodotto delle loro masse e inversamente proporzionale alla loro distanza elevata al quadrato». Invece di essere i piccoli satelliti ad essere attratti dal pianeta più vicino, è il pianeta Pd ad essere attratto da satelliti tra loro lontani: la «cosa multicolore» capitanata da Ghezzi e i «civici» di Daldoss. Tra i due soggetti il dialogo è a buon punto, ma Ghezzi nega che si sia già tradotto in un accordo. «È evidente che io non starei facendo politica da un paio di mesi — ricorda — se qualcuno non mi avesse cercato perché riteneva che le chance di vittoria con Rossi candidato fossero poche. Il mio nome è stato fatto nel segno della discontinuità, ma senza mettere in discussione il valore dell’unità. Ora, da parte dei civici, c’è un’interesse a parlare con noi anche perché non rappresentiamo le forze tradizionali del centrosinistra. Siamo politicamente agli estremi di un’ipotetica coalizione, ma stiamo cercando di capire se questo dialogo potrà trasformarsi in un ponte per riunire anche Pd, Upt e Patt. Occorre riunire tutte le forze che non condividono il programma leghista. L’accordo — conclude Ghezzi — ci sarà solo se ci sarà un’interlocuzione con tutti. Propongo ancora di scendere nella famosa grotta, ma se lì Daldoss non vorrà discutere né di candidati alternativi a se stesso, né di simboli di partito, allora non credo ci si potrà accordare».
Buona parte del Pd, tuttavia, spera di poter sostenere Daldoss come candidato presidente e magari di convincere così il Patt che la corsa solitaria è una follia. Per questo, ieri Donata Borgonovo Re ha rinviato l’assemblea, per questo Michele Nicoletti va dicendo che qualche modifica al simbolo si può anche fare. Il modello è quello presentato ieri a Bolzano (vedi pagina 2), con le civiche che compaiono nel simbolo (non bellissimo) e con richiami all’Unione europea. Sarebbe lo schema Chiamparino.
Sul tavolo, però, restano due problemi di non poco conto. Il primo, su cui Rossi ha già fatto capire che imposterà la campagna elettorale, è la difficoltà di «vendere» Daldoss, braccio destro del governatore e trent’anni di politica, come il nuovo. Il Pd che si sacrifica per la salvezza del centrosinistra autonomista racconta una storia di responsabilità. Un Pd che bacia la pantofola agli imponderabili civici ne racconta un’altra. Difficile non prevedere che, nell’urna, sarà premiato chi, a sinistra e al centro, mostra di guidare realmente la squadra.
Il secondo è che i civici non hanno dato nessun via libera alla presenza di simboli, anche modificati. «La porta — ribadisce un loro autorevole esponente — resta semmai aperta alle singole personalità». Insomma, il Pd rischia di piantare la tenda nel giardino di casa Daldoss e di restare, all’ultimo, fuori dalla porta.
L’alternativa, l’extrema ratio, è la corsa «identitaria» con un proprio nome o con Ghezzi come candidato d’area. Questa sera, al Muse, la «cosa multicolore» sarà tenuta a battesimo e riceverà un nome, ma non ci sarà un forcing sulla candidatura a presidente di Ghezzi. Le diplomazie restano al lavoro.