LA SCUOLA TROVI IL CORAGGIO DI CAMBIARE
In un tempo in cui il ceto politico è fiero di non occuparsi di cultura, la scuola trovi il coraggio di prendersi cura del proprio destino.
Quest’anno la ripresa delle lezioni sembra essere all’insegna di una faticosa normalità. Specie nella nostra provincia, la garanzia di edifici per la maggior parte sicuri, la presenza di organici adeguati e di risorse sufficienti sembra preludere a un ordinato e rassicurante itinerario. Però questo è solo l’aspetto immediato di una situazione che invece merita alcune riflessioni di fondo.
Intanto, non c’è anno scolastico che si ripeta: come la lingua parlata (e poi scritta) la scuola non sta ferma e si modifica indipendentemente dalle intenzioni. Cresce, rallenta, svolta, cade e si rialza, sbanda e si riprende secondo le scelte, gli stili, gli entusiasmi o le delusioni, le energie o le stanchezze di chi abita giornalmente le scuole: studenti, docenti, dirigenti, genitori, eccetera. Tutti questi soggetti, sia che interpretino alla lettera leggi, regolamenti e funzioni, sia che si muovano divergendo o modificando, concorrono a disegnare l’iter della scuola reale. Se tale lettura è attendibile, quello che a me appare come dato significativo è la prevalenza di una certa ortodossia rispetto al passato, con la presenza di una certa stanchezza che attutisce la volontà di esplorare piste didattiche e pedagogiche che possano creare qualche imbarazzo. Questo atteggiamento, riferito soprattutto ai docenti, è in parte comprensibile, poiché le politiche scolastiche degli ultimi anni hanno insistito su canoni e procedure che hanno tolto respiro a creatività e originalità e reso costoso ogni processo innovativo che non rientrasse nelle parole chiave prioritarie: informatizzazione, digitalizzazione, alternanza scuola- lavoro, imprenditorialità e via dicendo. In questo modo, il rischio è quello di una scuola ingabbiata al di là delle previsioni e che elementi che dovrebbero essere intesi e vissuti come mezzi per apprendere diventino invece inappropriate finalità.
Questo non vuol dire che il sistema scolastico trentino sia in crisi o che non possa essere riconosciuto nei suoi molteplici aspetti positivi; semplicemente, a me pare che debba interrogarsi con serietà se la scuola, così come è fatta oggi, risponda pienamente ai principi della nostra Costituzione, sia ancora in grado di occuparsi di diritti e di uguaglianza come tuttora è scritto nella prima parte della legge provinciale sulla scuola del 2006 e se nella scuola ci sia uno spazio vero di confronto (con la possibilità, fatte salve scadenze ineludibili che servono a definire l’unitarietà della scuola pubblica, di individuare declinazioni e percorsi diversi) che richiami ogni soggetto a esercitare fino in fondo una propria responsabilità.
In un tempo che disgraziatamente consegna ai twitter , semplificando colpevolmente, l’elaborazione di linee di governo e con un ceto politico che si professa nuovo e incorrotto, fiero di non perdere tempo nell’occuparsi di cultura, scuola ed altre amenità, penso che il mondo della scuola debba avere il coraggio di prendersi cura del proprio destino e di fasi sentire attraverso i comportamenti, le attenzioni, la professionalità. Ci sono voci importanti che illuminano questa speranza. Mi riferisco ad alcuni interventi recenti, come quella di uno scienziato del valore di Carlo Rovelli che nello scorso giugno sul Corriere della Sera ha parlato con cognizione di causa e passione della dignità degli insegnanti e del loro ruolo insostituibile; e come quella di un maestro dell’esperienza e della capacità di Franco Lorenzoni che, recentemente su la Repubblica, ha fatto una disanima circostanziata e accorata del mestiere dell’insegnante. Sono queste le letture a cui dovremmo dedicare tempo, sono queste le parole perse per strada e fortunatamente recuperate. Queste (ed altre) sollecitazioni possono essere il lievito per alimentare una nuova stagione per la scuola, cauta e resistente verso ogni forma di burocratizzazione delle sue funzioni e capace di restituire il giusto spazio e peso a una politica che, senza avere la presunzione dell’esclusività, si articoli e cresca da dentro, aperta al dialogo, aperta all’esterno ma con piena capacità critica, senza timore del conflitto, pronta ad affrontare le contraddizioni esistenti.
Pur nelle obiettive difficoltà di azione e avendo ben presenti i pericoli dell’inconcludenza, credo che siano ancora gli organi collegiali (in primis il collegio dei docenti e quindi i consigli di classe) i luoghi deputati per questo impegno (impegno che ha bisogno che dirigenti scolastici e docenti superino ricorrenti diffidenze per riconoscersi entrambi attori a pieno titolo); credo che sia una sincera e leale collegialità, dove il confronto può essere aspro ma anche necessario, dove la mediazione può esigere fatica, dove andare oltre l’indifferenza e le consuetudini può essere quasi una sfida, la chiave di volta per ritornare sulla strada giusta.
Questo il momento non solo di apparire, ma di essere di essere inattuali rispetto alle parole d’ordine correnti.