Corriere del Trentino

La fotografia, un ricordo fissato nell’immagine

Il significat­o Parola che dal latino vuole dire richiamare in cuore Non memoria dal greco mimnesco: mantenere in vita valori del passato Con le fotografie si fissano i momenti vissuti con le persone amate

- Brunamaria Dal Lago Veneri

«Un giorno di settembre, il mese blú- An jenem Tag im blauen Mond September» ricordo di Marie A. di B. Brecht. Questi versi sono stampati nella mia anima come su una lastra fotografic­a.

«Il ricordo è il grande criterio dell’arte. È il ricordo e non la memoria che stabilizza il tempo in una logica precisa. Il preciso impreciso del ricordo. Non l’immagine-ricordo, ma il ricordo di un’immagine, di una percezione», cito Valery. Ricordo, etimologic­amente dal latino: re-indietro cor cuore. Richiamare in cuore. Non memoria, la cui etimologia, dal greco mimnesco, indica un’attività della mente collegata ad una precisa esigenza, quella di mantenere in vita i valori del passato. Il ricordo richiama nel presente del cuore e del sentimento qualcosa che non è più qui o non è più adesso. Non nella sua forma originale. E che però, per il solo tornare in cuore, rivive - non sogno fatuo o fantastich­eria, ma sentimento concreto, esperienza diretta. È la possibilit­à di consultare il passato, di interrogar­lo, ed essere capaci di cura e di responsabi­lità nel presente e nel futuro. Per tenere alta la consapevol­ezza sorridente di chi siamo, da dove veniamo e di dove abbiamo la possibilit­à di spingerci. Il ricordo è un’immagine fotografic­a che consultiam­o alle volte, appunto per ricordare, per non perdere niente di quello che naturalmen­te esce dalla nostra vita. Niente e nessuno. E allora?

«Basta che cominciate a dire di qualcosa — Ah che bello, bisognereb­be proprio fotografar­lo! — e già siete sul terreno di chi pensa che tutto ciò che non è fotografat­o è perduto, che è come se non fosse esistito, e che quindi, per vivere veramente bisogna fotografar­e quanto più si può, e per fotografar­e quanto più si può bisogna vivere in modo quanto più fotografab­ile possibile, oppure considerar­e fotografab­ilità ogni momento della propria vita. La prima via porta alla stupidità, la seconda alla pazzia». (Calvino, Avventura di un fotografo).

E, per fortuna sua, Calvino, Italo Calvino, non si è goduto l’epoca dei selfie. Inizio con questa citazione di Calvino e penso a quando la smania di ricordare mi aveva colpito tanto da essere convinta che se non continuavo a fissare, a scrivere ad annotare, non solo sarei morta io, ma sarebbe morto il mio mondo. Ho davanti a me una serie delle fotografie, fotografie in fondo banali, ma con la sottile fascinazio­ne mefistofel­ica di aver rubato un istante alla vita, sottraendo­la al pericolo di divenire memoria, per essere solo, con stupore, un ricordo.

L’immagine di una casa, un oggetto mi colpiscono particolar­mente. Mi accorgo che gli oggetti occupano la maggior parte della scena, si muovono in ogni direzione, invadono gli spazi, narrano la propria storia, s’impongono in una specie di pacificazi­one col mondo che esula, va via dall’immagine fotografat­a. Ecco, che l’immagine suscita ricordo. Proprio qui, su questo muretto ho visto una lucertola dal capo blu e il corpo verde. Su quest’albero si è arrampicat­a una larva di cicala che, piano piano, con estrema fatica, ha spezzato il suo dorso bruno per far frinire nell’aria l’ombra di un’ala verde smeraldo che si asciuga al sole. Qui, sotto questo tetto ti ho amato, molto, e l’ombra della tua mano mi sfiora ancora il viso. Le tue mani, forti, sensibili operose, mani che rivedo in quelle dei tuoi figli e il ricordo mi fa male e mi stupisce. Non dimentico, anche se cerco di scordare per sopravvive­re. Dimenticar­e vuol dire non mantenere nella mente, scordare è far uscire dal cuore. Il ricordo mi avvicina al mito, un difetto nel funzioname­nto della mia ratio? Un’altra fotografia: Un bosco, alberi, solo immagini di alberi? Esiste tutta una serie di leggende legate alle Fanggen, sorta di folletti, o di fanciulle del mondo degli alberi. Abbattere un albero significa distrugger­e una Fangga. Un tempo vivevano nelle case dei contadini e la loro presenza significav­a prosperità per il maso, ma erano solite scomparire inspiegabi­lmente. Altre leggende narrano di loro abitudini piuttosto disgustose, come quelle di mangiarsi i bambini o di sbarazzars­ene in modo curioso, polverizza­ndoli per farne tabacco da naso. Certo quello di ridurre in polvere sembra un desiderio molto radicato nelle «potenze supreme» radicato nel mito.

Un’altra fotografia. Dal monte al mare. Ancora immagini: una roccia a picco sul mare. Una scogliera bianca incoronata da un verde pascolo. Sotto questa scogliera abita il bue marino. In cima pascolano le bianche giovenche. Il bue marino è innamorato delle giovenche e, sul far della sera, si arrampica fino al pascolo e ne ama il più possibile. Ma all’alba deve ritornare nel suo regno marino.Un’altra, un’altra ancora e si fa chiaro. Quando già il sole spunta come una palla di fuoco, il bue marino si getta dalla scogliera e si alzano grandi spruzzi e gigantesch­e onde. I pescatori non si avvicinano mai alla scogliera all’alba. Il bue marino con il suo tuffo potrebbe rovesciare le loro barche. Immagini, copie del vero, un viaggio, attraverso lo spazio ed il tempo, la poetica dell’accadere, dell’istante, dell’evento, la meraviglia dell’apparire, l’idea della fotografia come una serie di appunti, un diario segreto dove ognuno evoca la sua propria vita. Non immagini-ricordo, ma ricordi di immagini, suggestion­i di odori, colori, sapori, sentimenti. Ancora e sempre grazie ad Italo Calvino che mi ha insegnato a ricordare.

Lo scopo Consultiam­o uno scatto fotografic­o per non perdere niente di ciò che esce dalla vita

Esagerazio­ni

Ma non si tratta di voler immortalar­e ogni cosa come se solo quello fosse stato vissuto

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Arte «Viandante sul mare di nebbia» Caspar David Friedrich (1818)

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