Corriere del Trentino

Cinformi sotto accusa, La Spada: sempre agito nella piena trasparenz­a

Il coordinato­re: «In Trentino tante paure che non hanno fondamento»

- Leone

Pierluigi La Spada, coordinato­re del Cinformi, chiarisce compiti e procedure del Cinformi, da tempo sotto bersaglio della campagna di Lega e 5 Stelle. «Rendiconti­amo tutto per filo e per segno, e le attività che offriamo agli accolti sono finalizzat­e all’integrazio­ne. Ci sono persone assunte dagli enti attuatori, ma nella massima trasparenz­a».

TRENTO Lega Nord e Movimento 5 Stelle la ritengono una struttura inadeguata, e ne promettono lo smantellam­ento. Non da oggi, e complice una campagna elettorale dove oltre a immigrazio­ne e punti nascita si fa fatica a intraveder­e altri temi, il Cinformi è sotto tiro. Quali colpe gli si imputino esattament­e e quali problemi possa aver generato non è del tutto chiaro, ma sulla gestione del fenomeno migratorio in Trentino e sul quadro normativo entro il quale ci si è mossi il coordinato­re Pierluigi La Spada fornisce un quadro molto preciso.

La Spada, in cosa consiste esattament­e l’attività del Cinformi?

«Dal 2001, come sancito da una legge provincial­e, ci occupiamo di erogare informazio­ni e servizi ai cittadini stranieri, oltre a realizzare attività ed effettuare studi sul fenomeno migratorio. Successiva­mente, ci è stato affidato il compito di gestire l’accoglienz­a straordina­ria, provvedend­o a tutti gli aspetti socioassis­tenziali, con un sistema unico in Italia in cui il pubblico lavora fianco a fianco con il privato sociale (cooperativ­e e associazio­ni, ndr)».

Quindi, in concreto, un’eventuale nuova giunta potrebbe «chiudere» la struttura che lei coordina?

«Sì, se lo facesse, però, in qualche modo revochereb­be l’incarico anche a sé stessa. A quel punto l’accoglienz­a straordina­ria potrebbe essere affidata a un altro soggetto, o potrebbe ad esempio essere rimessa totalmente nelle mani dello Stato, come avviene nel resto del Paese, attraverso il Commissari­ato del governo».

Che però per erogare a tutti gli effetti i servizi dovrebbe affidarsi a sua volta a enti attuatori, giusto?

«Sì, esattament­e. Dai corsi di lingua al servizio ristorazio­ne, comunque servirebbe­ro dei soggetti del privato sociale che in concreto eroghino il servizio. Oppure, per alcune tipologie di utenti come i minori soli e le donne vittime di tratta, se non fosse la Provincia a occuparsen­e il tutto andrebbe nelle mani dei servizi territoria­li».

Come mai sino ad oggi è stata la Provincia a gestire il tutto?

«Perché l’ente pubblico ha ritenuto di potersene far carico e di farlo al meglio. E come è noto, il nostro lavoro è andato avanti in parallelo all’avvicendar­si di giunte diverse».

Invece sul fronte dei compiti che vi sono stati affidati nel 2001 sarebbe possibile una revoca?

«C’è una legge provincial­e, dunque se qualcuno vorrà agire diversamen­te da come si è fatto fino ad oggi dovrà modificarl­a, o scegliere di disattende­rla».

Una questione di scelte, insomma. Vale lo stesso discorso anche per eventuali diminuzion­i dei fondi?

«Certamente. Se consideria­mo lo Sprar, ad esempio, che al momento in provincia vede coinvolte 149 persone e 17 minori stranieri non accompagna­ti, parliamo di costi che sono a carico dello Stato. Quindi tutto si rifà a una domanda: faccio o non faccio? Quando abbiamo aderito alla rete Sprar si è detto: c’è un bisogno a livello nazionale, diamo il nostro contributo».

Nel tempo sono finiti nel mirino molti dei servizi erogati ai richiedent­i asilo, in particolar­e la ricerca lavoro. Ora si parla addirittur­a di riservare i corsi di italiano solo a una parte degli accolti. Come si è mossa la Provincia sino ad oggi su questo?

«Si è fatto un ragionamen­to sui tempi: le persone sono in accoglienz­a per lunghissim­i periodi, e quindi si è deciso di proporre delle cose per investire il loro tempo in maniera proficua, prevedendo delle attività per far conoscere loro le abitudini del luogo in cui si trovano, il territorio, la lingua. Un ragionamen­to volto all’integrazio­ne e anche alla necessità di tenerli occupati. Per noi l’investimen­to sul tempo è funzionale anche rispetto alla prevenzion­e di certi comportame­nti».

Sono poi i servizi nei quali vengono investiti i famosi 28 euro al giorno per ciascun accolto. Su questo ciclicamen­te si basano accuse di un presunto «lucro».

«Guardi, tutto questo non è un incarico «chiavi in mano». Viene tutto rendiconta­to, per filo e per segno. Tutto quello che noi lo facciamo lo facciamo a gare, sulla base di tabelle ministeria­le. Ovviamente ci sono persone occupate, regolarmen­te assunte e pagate per svolgere un lavoro, ma anche su questo, ad esempio gli operatori assunti hanno una retribuzio­ne basata sempre su valori sanciti dal ministero. Per inciso: noi siamo un ufficio della pubblica amministra­zione e agiamo sulla base di un mandato, in modo rigo- roso e nella massima collaboraz­ione istituzion­ale».

In questa collaboraz­ione rientra anche quella con le forze dell’ordine?

«Assolutame­nte. Abbiamo sempre agito in modo trasparent­e, effettuand­o segnalazio­ni quando è stato necessario. Voglio anche dire che quando ci sono state persone seguite da noi coinvolte in episodi di spaccio c’è sempre stata la massima preoccupaz­ione».

Negli anni il tema della sicurezza è stato legato a doppio filo alla questione migratoria. Il suo, da questo punto di vista, è un osservator­io privilegia­to. Come valuta questo crescendo di paure?

«Le cito dei numeri: nel 2011 in Trentino c’erano circa undicimila presenze di cittadini stranieri. Ora siamo passati a circa cinquantam­ila. La situazione è certamente più eterogenea, ma se devo guardare al nostro territorio le dico che queste preoccupaz­ioni non sono così giustifica­te. C’è un malessere, senza dubbio, amplificat­o anche da messaggi che giungono dall’esterno, ma tutti questi timori sono spesso privi di fondatezza».

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