Coca: trenta arresti «Ecco la mamma, 65 anni, bellissima»
Sequestrata droga per 20 milioni di euro. Bolzano: gli ordini impartiti dal carcere
«Ecco la mamma... ha 65 anni.. è bellissima». È uno dei codici utilizzati dai gruppo di narcotrafficanti smantellato dalla guardia di finanza di Trento. L’indagine, durata due anni, ha portato a 30 arresti, 10 denunce e al sequestro di 120 chili di droga. La base era Bolzano.
TRENTO Un «pizzino» inviato dal carcere di Bolzano con scritti a penna ordini e direttive. Eduart Gona non si è mai fermato. Due anni di intensa attività, anche dalla casa circondariale di Bolzano continuava a «gestire» il traffico di stupefacenti e a riscuotere il denaro, parte del quale sarebbe servito anche a pagare le spese legali.
È lui, albanese di origini, 39 anni, mente e braccio della banda «Baruti», uno dei personaggi chiave della vasta organizzazione internazionale di trafficanti di droga, in particolare cocaina e marijuana, sgominata dal Goa della guardia di finanza di Trento che ha portato a 30 arresti, 10 in flagranza, mentre altre 20 persone sono state raggiunte da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere chiesta dal pm della Dda Davide Ognibene e firmata dal gip Marco La Ganga. Altre 10 persone, tra cui italiani, pakistani e tedeschi, sono state denunciate. L’operazione «Alba bianca» è scattata ieri mattina all’alba, i presunti narcotrafficanti sono stati tutti arrestati, all’appello ne mancano solo tre. I finanzieri li stanno rintracciando, grazie alla stretta collaborazione dello Scico della guardia di Finanza di Roma e della DcErano sa (la Direzione centrale per i servizi antidroga del ministero) e i colleghi di Germania, Belgio, Albania e Macedonia. Parliamo di un’indagine di ampio respiro, suggellata da una stretta sinergia tra forze italiane ed estere, durata due anni che ha portato al sequestro sete auto, 100.0000 euro in contanti e 120 chili di droga, perlopiù cocaina, ma anche eroina e marijuana, per un valore complessivo di 20 milioni di euro. Le fiamme gialle hanno individuato due bande criminali, il gruppo «Baruti» e il «Bushi Hamit», di albanesi e kossovari, che gestivano il narcotraffico dal nord Europa.
due le direttive della droga. La cocaina e l’eroina arrivavano da Olanda, Belgio, passavano dalla Germania per poi sbarcare in Italia, in particolare in Alto Adige e soprattutto Bolzano, cuore dell’organizzazione e dello smistamento della droga, da cui partivano le ramificazioni in Trentino Alto Adige, Piemonte, Lombardia e Veneto. Poi c’era la marijuana che arrivava in Italia dai Balcani, in particolare dall’Albania. Gli approvvigionamenti giungevano attraverso i porti di Anversa e Rotterdam che sono le porte in Europa delle grandi rotte commerciali e la droga veniva trasportata da corrieri in doppi fondi delle auto. I panetti venivano occultati con cura, avvolti in sacchetti di nylon colorati e spesso con immagini stampate sul pacco. Un sistema di identificazione della droga e della provenienza molto utilizzata dai narcotrafficanti. Ed ecco spuntare sui pacchetti il simbolo del leone, per citare un esempio. L’inventiva al gruppo di trafficanti non mancava. Sapevano di essere intercettati, e così utilizzavano codici, nomi criptati per indicare la droga e i soldi. Per lunghissimi mesi gli investigatori della finanza hanno seguito le conversazioni dei due gruppi, gli spostamenti, attraverso lunghi pedinamenti, i carichi di droga in arrivo dall’estero e suddivisi in un appartamento a Bolzano. L’indagine è scattata nel 2016 dopo l’arresto del 19 gennaio 2016 a Vipiteno, con 93 chili di cocaina, di Gona fermato con l’albanese Artur Muca. L’uomo gestiva una rete fitta di spacciatori, volti noti alla criminalità locale, come Artan Sokola, albanese residente a Bressanone, già coinvolto nella rissa durante la festa all’hotel Sheraton nel 2013, poi assolto. Ma questo è solo uno dei tanti nomi, poi c’era la coppia Baruti Eljion e la moglie Shani Keti che si occupava del taglio e dello smistamento della droga nel loro appartamento. Il modus operandi del primo gruppo era più o meno lo stesso della banda «Bushi», anche questa composta soprattutto da albanesi. Gestivano il «lavoro» in famiglia, tutti accomunati da vincoli parentali. E i soldi? Venivano «ripuliti» in Albania.