EVITARE INVASIONI DI CAMPO
Dopo aver letto le posizioni sull’Università espresse dai principali candidati alla presidenza della Provincia (Corriere del Trentino del 15 settembre) vorrei riprendere il tema dei rapporti tra Provincia e ateneo.
Provo a chiarire in che senso. Come è noto il finanziamento erogato dalla Provincia all’Università di Trento si articola in quattro voci principali (decreto legislativo 142/2011): la quota base (finanziamento ordinario); la quota premiale (per i risultati raggiunti); la quota per l’edilizia e la quota programmatica.
Quest’ultima è destinata «all’attuazione dei progetti di sviluppo dell’università come individuati dalla programmazione strategica provinciale e dell’ateneo». Per molti versi essa ha preso la funzione del vecchio Accordo di programma che, nel corso degli anni, è servito a immaginare e realizzare iniziative di ampio respiro: ad esempio il Cibio, il Cimec, la Scuola di Studi internazionali e molto altro ancora. Negli ultimi anni questa quota programmatica è andata via via scemando. Poco più di un anno fa (delibera di giunta provinciale 9 giugno 2017 numero 901) la quota programmatica si era ridotta (dagli svariati milioni stanziati in passato) a poco più di 300.000 euro. Questo significava che la Provincia non voleva più investire in nuove iniziative di respiro almeno medio.
Poi in finale di legislatura la quota programmatica ha avuto ulteriori finanziamenti.
Prima con delibera di giunta 16 novembre 2017 numero 1894, con la quale detta quota è stata integrata per un importo pari a 657 milioni per finanziare gli svariati (micro)progetti: un’indagine su come la popolazione trentina percepisce la cremazione (20.000 euro); una sperimentazione didattica delle scienze della materia integrata (50.000); uno studio sugli scenari di sviluppo del laboratorio Ausilia (27.000); alcune attività nell’ambito delle Scienze religiose (40.000); l’avvio del progetto «Laboratorio Quantum at Trento» (200.000); uno studio sulla flora microbica delle fonti termali e minerali del Trentino (170.000).
Poi con una seconda delibera di giunta del 7 settembre 2018 numero 1618, è stata determinata la quota programmatica per l’esercizio 2018 fissandola in 1.648.942 euro. L’approccio è stato di nuovo quello di individuare degli ambiti specifici: dalla Fisica medica alla protonterapia; dalla Meteorologia al Piano trentino trilingue; dal Centro studi geo-cartografico alla School of innovation; dalla Cattedra Euregio alla riabilitazione neurocognitiva. Ma anziché finanziare i progetti, questa volta la giunta provinciale ha finanziato dei posti di ruolo giungendo a individuare le materie (si chiamano: settori disciplinari) cui le persone da assumere devono appartenere. E in qualche caso specificando che le risorse provinciali devono essere usate per promuovere un professore associato a professore ordinario.
La piega che ha preso la cosiddetta «quota programmatica» suggerisce alcune riflessioni. Un tempo venivano fissati grandi obiettivi nella programmazione (li ho ricordati prima); da ultimo assistiamo al finanziamento di piccoli interventi senza collante. Inoltre la Provincia individua addirittura le singole promozioni e i singoli settori disciplinari cui devono appartenere i professori da assumere.
Veniamo allora alla necessità di ristabilire i rapporti corretti tra università e Provincia. In nessun modo Piazza Dante deve poter decidere i singoli concorsi da bandire e le singole persone da promuovere. La quota programmatica deve riguardare per lo più grandi progetti di sviluppo e non microiniziative che comportano dispersione di risorse. La Provincia dovrebbe sempre spiegare in maniera chiara i criteri che la portano a finanziare un certo progetto e non un altro. Insomma, Provincia e ateneo devono tornare ad avere uno sguardo lungo e di ampio respiro. E a rispettare le relative autonomie.
Tutti i candidati alla presidenza della Provincia dovrebbero impegnarsi su questo. E, all’interno dell’università, i professori dovrebbero preoccuparsi di non smarrire la propria credibilità. Un esempio può nascere proprio dallo sviluppo urbanistico. Anziché condannarci a una ennesima telenovela (quella sul Cte, che rischia di seguire lo stesso inconcludente tira e molla che caratterizzò la mai realizzata biblioteca Botta), ragioniamo sul futuro di Trento e della sua università. Ragioniamo sulla possibilità di trasferire l’intero polo di collina di là dall’Adige, così che tutto l’ateneo si estenda su una ideale prosecuzione di via Verdi di qua e di là dal fiume. Ragioniamo di una visione di futuro, non di cagionevoli programmazioni piccole e sole.