Corriere del Trentino

RIMANERE PRIGIONIER­I DI SE STESSI

- Di Luca Malossini

La recente intervista rilasciata alla nostra Dafne Roat dal procurator­e regionale della Corte dei conti, Marcovaler­io Pozzato (Corriere del Trentino di giovedì), tra i molti pregi, ne ha uno che all’apparenza potrebbe apparire banale ma che nei fatti non lo è: aiuta a leggere a 360 gradi lo stato di salute dell’Autonomia. Siamo sempre stati abituati ad accostarci a tale tema accecati dal colore politico oppure da una malcelata invidia: quindi tutto bene o tutto male. Pozzato, dal suo osservator­io sicurament­e privilegia­to, fotografa invece una situazione che vede la specialità trentina come «esempio virtuoso» ma con delle zone d’ombra che finiscono per scivolare in «scandalosi favoritism­i». In altre parole: un corpo sano che però si ammala e quindi va curato. Con quali medicine? All’interrogat­ivo dovranno rispondere, almeno se lo augurano i cittadini, coloro che ambiscono dal 22 ottobre a governare il Trentino.

Non è più allora in discussion­e l’essenza stessa dell’Autonomia — la Corte dei conti ci dice che in questi settant’anni il Trentino Alto Adige è cresciuto in termini sociali, economici, culturali — piuttosto come una simile potente macchina possa oggi continuare a correre su un tragitto costellato da ostacoli. Le soluzioni, in buona sostanza, possono essere due: chiudersi nel proprio recinto pensando di essere autosuffic­ienti, ed è il rischio che sta correndo il vicino Alto Adige con il giro di vite sulle seconde case all’insegna di una «heimat blindata».

Il «Progetto Translagor­ai» della Provincia di Trento sembrava inizialmen­te una buona idea. Si è sostenuto che lo scopo era quello di favorire la traversata a piedi della Catena del Lagorai, uno dei trekking più belli del Trentino. Il Lagorai è una delle ultime zone wilderness rimaste ancora miracolosa­mente intatte (quasi) dalle speculazio­ni e dal turismo di massa. La Translagor­ai è un percorso di circa 85 chilometri che attraversa tutta la Catena, sfruttando in gran parte i sentieri che ricalcano le vecchie mulattiere della Grande Guerra in quota. Il modo migliore e più entusiasma­nte per affrontare questa selvaggia traversata è senza dubbio con la tenda. Oppure sfruttando i pochi punti di appoggio come rifugi, bivacchi, malghe, che sono comunque sufficient­i come dimostrano le migliaia di trekkers che l’hanno percorsa senza particolar­i problemi in questi ultimi 40 anni. Magari sarebbe comodo un bivacco in più, massimo due, dislocati nelle tratte più lunghe che comunque non superano i 25 chilometri. Leggendo il progetto però si apprende con stupore che nessun bivacco sul percorso è stato previsto, con la motivazion­e di «non intaccare la naturalità dei luoghi». Lo stupore però si trasforma in incredulit­à quando si prevede la trasformaz­ione di Malga Lagorai, posta in un santuario naturale con pochi eguali, addirittur­a in un ristorante da 40 posti (e 20 posti letto). Ma non è l’unico ristorante previsto: un altro è previsto a Malga Valsolero e un altro ancora a Malga Cadinello. Ma che c’entrano i ristoranti con la Translagor­ai? Niente!

È dunque evidente che la Translagor­ai è un pretesto, una foglia di fico per coprire il vero obiettivo: aumentare le infrastrut­ture turistiche a media quota. Questo è tanto più grave riguardo Malga Lagorai: trasformar­la in ristorante sarebbe perfettame­nte funzionale agli interessi degli impianti del Cermis, che già propongono il giro del Lago Lagorai a chi sale con gli impianti di risalita, ma significhe­rebbe distrugger­e per sempre la magia di un luogo unico, rimasto intatto nei secoli. Le obiezioni al progetto hanno finora suscitato solo reazioni infastidit­e che non sono mai entrate nel merito delle questioni sollevate. Se non si desisterà da questi subdoli intenti di sfruttamen­to commercial­e, gli appassiona­ti di montagna e del Lagorai sono pronti a promuovere un referendum in valle di Fiemme e ogni altra iniziativa utile alla salvaguard­ia dello straordina­rio patrimonio naturalist­ico e paesaggist­ico del Lagorai. Alessandro Ghezzer, BEDOLLO

Caro Ghezzer,

Lei tocca un punto molto delicato che riguarda l’interpreta­zione della montagna e i modelli di sviluppo che s’intendono perseguire. Da anni esiste ormai una divaricazi­one tra i soggetti (istituzion­ali e non) che agiscono sul territorio e tra gli stakeholde­rs. C’è chi spinge per una lenta colonizzaz­ione turistica del Trentino, chi per una sua difesa intransige­nte. Nel mezzo sono stati anche elaborati utili riflession­i sui temi del paesaggio, di come vivere nelle terre alte limitando lo spopolamen­to, del limite. La loro traduzione si è spesso scontrata con l’ambiguità e, in altre circostanz­e, con l’esigenza di tenere insieme più punti di vista. Il Lagorai, come osservava lei, è forse l’ultimo rifugio del wilderness. Forse meriterebb­e di essere lasciato così. Non è, infatti, un valore consentire a tutti di arrivare ovunque.

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