MA COME MAI NEL TEMPO PRESENTE CI SI AFFIDA ANCORA ALLE SCRITTE SUI MURI
TRENTO Nuovi Bukowski, Bartezzaghi o Rodari? Non sui muri di Trento. Novelli Shakespeare? Nemmeno. Sulle facciate dei palazzi in città scorrono fiumi di rabbia e indignazione. È l’invettiva politica, principalmente, a guidare la mano del writing — spesso vandalico — di chi, nei tempi in cui gli unici «walls» (muri in inglese) conosciuti sono quelli di Facebook, sceglie di affidare il proprio pensiero a una durevolezza fuori dall’usuale. «I giorni passano, i lager restano. No Cpr (i Centri di permanenza per il rimpatrio, ndr)» si legge in via Roma; «Eni assassina» sulla facciata dell’ostello della gioventù di via Torre Vanga, «Fasci appesi» nel quartiere di San Martino, con tanto di disegno.
In tempi di «look down generation», quella dei ragazzi (ma, sia chiaro, non di soli giovani si tratta) con lo sguardo perennemente rivolto verso il basso, fagocitato dallo schermo dello smartphone, alzare gli occhi un po’ più in alto delle proprie mani apre le porte su un mondo diverso, quello di chi non vuole mandare messaggi in bottiglia o virtuali. Certo, dare sfogo alla propria espressività sui muri altrui è reato (sta scritto nel codice penale) e ogni anno il Comune di Trento impegna migliaia di euro per rimuovere, ad esempio, il «Sabotiamo la guerra» con il disegno di un carrarmato in fiamme che compare sempre sulla parete dell’ostello della gioventù o il «No border, no nation. Stop deportation!», corredato da stormo di gabbiani che vola libero sul mare (sembrano realizzati, fra l’altro, con dei normografi giganti). Ma non ne ha fatto una questione di decoro urbano il preside del liceo Brocchi di Bassano del Grappa sul cui muro, qualche giorno fa, è comparso quell’ormai famoso «There’s nowhere for me to be», per me non c’è nessun posto, che, per quanto anonimo, ha suscitato un’ondata di empatia e solidarietà: «Non ci dobbiamo fissare su un muro sporcato, ma sul contenuto del messaggio e su quello che ci vuole dire il suo autore» ha detto il dirigente scolastico.
A Trento, invece, al turbamento di matrice esistenzialista si inneggia: a San Pio X qualcuno invita a «godersi l’inquieto vivere». Qualcuno che si firma con la A cerchiata, uno dei simboli del movimento anarchico, la cui matrice si individua facilmente anche in molti altri edifici della città: «Sbirri e ricchi, c’è ancora benzina» è stato impresso in via Santa Margherita accanto a un luogo e una data, «Roma 15/10». L’anno che manca è il 2011, quando nella capitale una manifestazione pacifica fu trasformata in guerriglia. «Antifa» poco più avanti, con la saetta che rompe il cerchio, simbolo dei centri sociali di terza generazione. C’è chi dice no (all’Expo, alla Tap), chi riempie le facciate di tag, firme di writer incomprensibili ai più e chi, per fortuna, ancora manda messaggi d’amore. Come quello a caratteri cubitali per «FrAaAa», che è «unica», alla stazione di Trento nord: «Ti voglio un bene assurdo». Da via Milano, invece, «Ti invito a sorridere, offro io». A San Pio X si chiude ancora in politica: «Unici stranieri gli sbirri nei quartieri». Come se gli anni Settanta fossero rimasti lì, dietro l’angolo, a reclamare il loro spazio ideologico. Ovviamente sui muri.
Contraddizioni
Nell’era dei muri virtuali, quelli fisici resistono e attraggono ancora tanti pensieri. L’eredità degli anni Settanta domina negli slogan