IL NORD CHE SOFFRE DI MAIO
Nella sua continua caccia al nemico, Luigi Di Maio ha scatenato i più recenti strali contro Matteo Zoppas, numero uno di Confindustria Veneto. «È bello» ha detto con tono minaccioso il ministro dello Sviluppo economico «fare il presidente di Confindustria locale gestendo l’acqua minerale con concessioni irrisorie, a cui metteremo mano con la legge di Bilancio». Un evidente riferimento alla San Benedetto, l’azienda di famiglia. In realtà le «colpe» di Zoppas, agli occhi di Di Maio, sono chiarissime. Già un mesetto fa aveva sparato bordate nei confronti del decreto Dignità, colpevole di penalizzare il sistema delle imprese e la stessa ripresa occupazionale. Oggi è sempre lui a capeggiare la «fronda» del Nord (produttivo) in vista della prossima manovra. Per giunta lancia insistenti appelli alla Lega affinché riequilibri le politiche del Movimento 5 stelle, considerate assistenzialiste se non palesemente antiindustriali. In qualche modo ci sarebbe il suo zampino anche dietro all’endorsement in favore della Lega pronunciato a Vicenza, sabato scorso, da Vincenzo Boccia, presidente (salernitano) di Confindustria.
Risultato, Di Maio ha un diavolo per capello. Ma il contrasto con Zoppas non è che la spia di un malessere più profondo. Il fatto è che Lega e il Movimento 5 Stelle portano con sé due visioni ben diverse delle politiche per la crescita.
Eil rischio (paradossale, con Matteo Salvini impegnatissimo a cavalcare il tema dell’immigrazione) è l’esplosione della nuova Questione settentrionale. Forti preoccupazioni per il rialzo del deficit, l’impennata dello spread e l’eventuale rottura degli equilibri europei si levano in tutto il nuovo triangolo industriale. Un’area, giusto per ricordarlo, che tra Lombardia, Emilia Romagna e Triveneto, vale 265 miliardi di export, il 60 per cento del totale del Paese. «Bisogna stare molto attenti» ha dichiarato Alberto Vacchi, presidente di Confindustria Emilia «e vedere di porre dei correttivi qualora la reazione esterna sia particolarmente dura». Enrico Zobele, leader di Confindustria Trento, ha rincarato la dose criticando anche la pace fiscale: «Per fare cassa, il governo del cambiamento ricorre a un sistema noto: prendere in giro chi ha pagato le tasse».
Per il momento c’è solamente quel fatidico numerino sul Def (Documento di economia e finanza): 2,4 per cento (per tre anni) nel rapporto deficit-Pil. La legge di Bilancio è ancora tutta da scrivere. Ma l’avvio della flat tax per le partite Iva con fatturato fino a 100.000 euro avrà un effetto estremamente limitato, mentre il grosso della manovra consisterà nei 10 miliardi per il reddito di cittadinanza e negli 8 previsti per il superamento della legge Fornero. Se bisognava dare uno shock all’economia, imprenditori e artigiani avrebbero sicuramente preferito un maggiore sostegno allo sviluppo, una drastica riduzione del cuneo fiscale. E magari, dopo tante promesse, un duro intervento per sradicare quella «malaburocrazia» che, secondo la Cgia di Mestre, costa alle piccole e medie imprese 31 miliardi all’anno. Da qui gli inviti alla Lega, un tempo partito del Nord, a cambiare rotta. Peccato che di mezzo ci siano le ragion di stato, pardon, di governo.