I due casi che divisero il Nordest «Via gli irregolari». «Vanno curati»
I precedenti a Conegliano e Padova. Emergency: la vita del malato prima di tutto
VENEZIA Il caso del clandestino «segnalato» dal medico in Trentino riapre la polemica nel Nordest. In Veneto, in particolare, si ricordano le prime denunce, ai Pronto soccorso di Conegliano e Padova a carico di due donne senza documenti, nel 2009. In quel momento allo studio del Parlamento c’era il «pacchetto sicurezza Maroni», che conteneva la norma sui medici-spia, chiamati a denunciare i pazienti extracomunitari senza permesso di soggiorno. Un provvedimento cancellato nell’aprile dello stesso anno a furor di popolo (Alessandra Mussolini, deputato e camice bianco, raccolse le firme di 101 colleghi della Camera per chiedere un passo indietro, mentre sindacati, Ordini dei medici, associazioni e centrosinistra scendevano in piazza e a Padova, Verona, Venezia, Rovigo e Treviso la Caritas apriva ambulatori per tutti i migranti, clandestini compresi), ma il tema riesplode ora. A causa del clima nuovamente avvelenato dalla tensione contro i richiedenti asilo. A Trento un dottore del Pronto soccorso si è rifiutato di curare un marocchino col permesso di soggiorno scaduto — e già rifiutato dal medico di famiglia — e ha chiamato i carabinieri.
Comportamento inconcepibile per la categoria, ma non per la politica. «Il professionista trentino ha fatto il suo dovere, segnalando un’irregolarità», dice Gianantonio Da Re, segretario nathional della Lega in Veneto. Che aggiunge: «Mettiamoci nei suoi panni, si presenta in Pronto Soccorso una persona senza tesserino sanitario, cioè senza identificazione. Oltre ad esprimergli la mia solidarietà, aggiungo che è un esempio da seguire anche per i medici veneti. Chi arriva in Italia si deve poter riconoscere: se fosse un camorrista, un mafioso, un ricercato? Cosa facciamo, lo curiamo senza avvertire le autorità?». In linea Fabrizio Boron (lista «Zaia presidente»), a capo della commissione regionale Sanità: «E’ giusto segnalare alle autorità che una persona di altra nazionalità si trova in territorio italiano senza documenti e ciò non esime i sanitari dal prestarle l’assistenza di cui necessita. Il medico di Trento ha fatto bene, lo straniero deve entrare o restare in Italia con le carte in regola».
Ma i camici bianchi storcono il naso. «Il giuramento di Ippocrate e il Codice deontologico ci impongono di curare tutti, indistintamente da sesso, religione, etnìa, situazione personale — ricorda Michele Valente, presidente dell’Ordine dei Medici di Vicenza —. In più, l’articolo 32 del Codice dice che è nostro dovere curare i soggetti più fragili e l’articolo 70 parla di qualità ed equità delle prestazioni. L’unico caso che ci consente la denuncia, per giusta causa, è quando il paziente sia autore di un reato e quindi non segnalarlo all’autorità può comportare un pericolo per la popolazione e per la salute pubblica. Siamo pubblici ufficiali». C’è poi il decreto legislativo 286 del 1998 che vieta ai camici bianchi di denunciare i malati clandestini. «La nostra professione da duemila anni si basa sui principi di solidarietà e umanità — rincara Giovanni Leoni, presidente dell’Ordine di Venezia e segretario regionale della Cimo (ospedalieri) — per di più se denunciamo e non curiamo un clandestino magari portatore di una malattia infettiva, veicoliamo un’epidemia. Qualcuno ci ha pensato?». E’ d’accordo Giovanni Cipollotti, primario del Suem di Pieve di Cadore, che è stato in missione a Kabul con Emergency: «Il medico deve pensare prima di tutto alla cura del malato, le convinzioni personali e politiche non devono influenzare il lavoro».
Da Re Ha fatto il suo dovere segnalando una situazione irregolare
Leoni Il nostro mestiere si basa sui principi di umanità e solidarietà