LA MORALE DI COMODO E DI PARTITO
Sud Italia. Il sindaco di Riace viene messo agli arresti domiciliari per presunte irregolarità nelle politiche di accoglienza. Il ministro dell’interno lo addita al pubblico ludibrio, esecrandone i comportamenti.
Nord Italia. Un medico del pronto soccorso di Trento si rifiuta di curare uno straniero irregolare e lo segnala ai carabinieri. Mentre molti suoi colleghi si dissociano, il ministro dell’interno lo ringrazia e lo addita come esempio da seguire.
Tutta Italia. Il vicepresidente del Consiglio annuncia, sotto il nome di «pace fiscale», un maxicondono per chi ha evaso le tasse in passato. Il ministro dell’interno, che è la stessa persona, lo sostiene entusiasticamente, come strumento di giustizia sociale, o di sua correzione.
Che cosa hanno in comune questi vari provvedimenti? Niente, naturalmente, se non il fatto che hanno il medesimo protagonista. Salvo per un particolare non secondario: tutti sono in relazione a un problema antico quanto la vita sociale organizzata: la tensione perenne tra rispetto della legge e sua violazione «a fin di bene». Un tema che la tragedia greca ha ben esplicitato nel dramma di Antigone, decisa a seppellire il corpo del fratello nonostante il divieto imposto dalla legge emanata dal padre Creonte: e che per questo pagherà con la morte la sua azione.
È un dramma antico, e tuttavia perenne, come lo sono tutti gli archetipi.
Non a caso Antigone è di gran lunga la tragedia più rappresentata nel mondo, e solo in questi ultimi anni ha avuto innumerevoli remake, ambientati quasi sempre in contesti contemporanei: segno che tocca una corda sensibile e problematica. Le nostre versioni sono più casarecce, ma ci pongono, tutte, un interrogativo interessante. Non entreremo nel merito di nessuna. Ci sentiamo solo di trarne alcune considerazioni.
Il sindaco di Riace (insieme ai suoi numerosi sostenitori) sostiene di essere colpevole solo di «reato di umanità». Sarà la magistratura a dirci quali sono esattamente le sue responsabilità. Comunque vada, un amministratore della cosa pubblica (come del resto ogni cittadino) non può che essere sottoposto alla sovranità e al rispetto della legge. A differenza degli amministratori, i medici, oltre che alla legge, sono sottoposti a un codice deontologico specifico, ispirato al giuramento di Ippocrate, che impone di curare chiunque: il rispetto e la sacralità della vita prevale, ad esempio, sulla condizione di irregolarità. Non a caso, insieme a poche altre categorie, i medici godono di uno specifico diritto al segreto professionale, garantito dalla legge. Non violano dunque alcuna legge, curando una persona (al contrario, direi che la vìolano se non lo fanno): resta aperto il dibattito, naturalmente, sull’opportunità della segnalazione. Chi ha evaso le tasse, l’Iva o i contributi ai dipendenti, ha certamente commesso un reato, e ha inoltre operato in regime di concorrenza sleale rispetto ai propri colleghi imprenditori e artigiani che le leggi, invece, le hanno rispettate.
Se ne deduce che il ministro dell’interno opera in un regime di doppia o tripla morale: rivendica il rispetto della legge (Riace), rivendica il diritto di violare, se non la legge, il codice deontologico (Trento), difende chi ha violato la legge e rivendica il diritto di «perdonare» per via legislativa chi lo ha fatto, operando una discriminazione rispetto a chi non l’ha violata (condono). Tutto ciò non è uno specifico del ministro dell’interno né della politica attuale: è avvenuto spesso in passato, e chiunque fosse al governo. Ma forse non è inutile sollevare qualche problema di principio, e forse di banale parità di trattamento, rifiutando trattamenti diversi basati sul fatto di essere amici o avversari politici, elettori o non elettori di un partito. Il punto è più «alto» e più cruciale per la res publica: se la si vuol mettere sul piano della moralità e della legalità, occorre trarne tutte le conseguenze.