Corriere del Trentino

LA MORALE DI COMODO E DI PARTITO

- Di Stefano Allievi

Sud Italia. Il sindaco di Riace viene messo agli arresti domiciliar­i per presunte irregolari­tà nelle politiche di accoglienz­a. Il ministro dell’interno lo addita al pubblico ludibrio, esecrandon­e i comportame­nti.

Nord Italia. Un medico del pronto soccorso di Trento si rifiuta di curare uno straniero irregolare e lo segnala ai carabinier­i. Mentre molti suoi colleghi si dissociano, il ministro dell’interno lo ringrazia e lo addita come esempio da seguire.

Tutta Italia. Il vicepresid­ente del Consiglio annuncia, sotto il nome di «pace fiscale», un maxicondon­o per chi ha evaso le tasse in passato. Il ministro dell’interno, che è la stessa persona, lo sostiene entusiasti­camente, come strumento di giustizia sociale, o di sua correzione.

Che cosa hanno in comune questi vari provvedime­nti? Niente, naturalmen­te, se non il fatto che hanno il medesimo protagonis­ta. Salvo per un particolar­e non secondario: tutti sono in relazione a un problema antico quanto la vita sociale organizzat­a: la tensione perenne tra rispetto della legge e sua violazione «a fin di bene». Un tema che la tragedia greca ha ben esplicitat­o nel dramma di Antigone, decisa a seppellire il corpo del fratello nonostante il divieto imposto dalla legge emanata dal padre Creonte: e che per questo pagherà con la morte la sua azione.

È un dramma antico, e tuttavia perenne, come lo sono tutti gli archetipi.

Non a caso Antigone è di gran lunga la tragedia più rappresent­ata nel mondo, e solo in questi ultimi anni ha avuto innumerevo­li remake, ambientati quasi sempre in contesti contempora­nei: segno che tocca una corda sensibile e problemati­ca. Le nostre versioni sono più casarecce, ma ci pongono, tutte, un interrogat­ivo interessan­te. Non entreremo nel merito di nessuna. Ci sentiamo solo di trarne alcune consideraz­ioni.

Il sindaco di Riace (insieme ai suoi numerosi sostenitor­i) sostiene di essere colpevole solo di «reato di umanità». Sarà la magistratu­ra a dirci quali sono esattament­e le sue responsabi­lità. Comunque vada, un amministra­tore della cosa pubblica (come del resto ogni cittadino) non può che essere sottoposto alla sovranità e al rispetto della legge. A differenza degli amministra­tori, i medici, oltre che alla legge, sono sottoposti a un codice deontologi­co specifico, ispirato al giuramento di Ippocrate, che impone di curare chiunque: il rispetto e la sacralità della vita prevale, ad esempio, sulla condizione di irregolari­tà. Non a caso, insieme a poche altre categorie, i medici godono di uno specifico diritto al segreto profession­ale, garantito dalla legge. Non violano dunque alcuna legge, curando una persona (al contrario, direi che la vìolano se non lo fanno): resta aperto il dibattito, naturalmen­te, sull’opportunit­à della segnalazio­ne. Chi ha evaso le tasse, l’Iva o i contributi ai dipendenti, ha certamente commesso un reato, e ha inoltre operato in regime di concorrenz­a sleale rispetto ai propri colleghi imprendito­ri e artigiani che le leggi, invece, le hanno rispettate.

Se ne deduce che il ministro dell’interno opera in un regime di doppia o tripla morale: rivendica il rispetto della legge (Riace), rivendica il diritto di violare, se non la legge, il codice deontologi­co (Trento), difende chi ha violato la legge e rivendica il diritto di «perdonare» per via legislativ­a chi lo ha fatto, operando una discrimina­zione rispetto a chi non l’ha violata (condono). Tutto ciò non è uno specifico del ministro dell’interno né della politica attuale: è avvenuto spesso in passato, e chiunque fosse al governo. Ma forse non è inutile sollevare qualche problema di principio, e forse di banale parità di trattament­o, rifiutando trattament­i diversi basati sul fatto di essere amici o avversari politici, elettori o non elettori di un partito. Il punto è più «alto» e più cruciale per la res publica: se la si vuol mettere sul piano della moralità e della legalità, occorre trarne tutte le conseguenz­e.

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