«Clandestino denunciato, i dottori devono curare»
Interviene la Federazione nazionale dei medici. Cles allibita: una vergogna
«Quando parliamo di salute non servono tifosi. Se parliamo di soggetti fragili, il dovere di curare è amplificato». Questo il giudizio del presidente della Federazione nazionale dei medici Filippo Anelli sul caso del clandestino denunciato. Allibiti gli abitanti di Cles: una vergogna.
TRENTO Al pronto soccorso di Cles le bocche sono cucite. I medici trincerati in corsia, impegnati a curare i codici verdi e bianchi che attendono silenziosi e composti nella piccola sala d’attesa, mentre lo schermo di un televisore sintonizzato sul canale Focus diffonde le immagini di un documentario dedicato all’Airbus A350. Sembra essere un pomeriggio tranquillo nell’area di urgenza dell’ospedale Valli del Noce. Fuori, invece, il centro del capoluogo noneso è vivace e affollato: molte persone, la maggior parte, dicono di non sapere nulla della vicenda che si è verificata nel nosocomio cittadino lo scorso 10 luglio. Sulla quale si è pronunciato invece il presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri (Fnomceo) Filippo Anelli: «Quando si parla di salute non c’è bisogno di “tifosi”, abbiamo già riferimenti chiari e precisi, i principi del codice deontologico e le evidenze della scienza. Anzi, se parliamo di soggetti fragili, il dovere di curare e di tutelare la loro salute è amplificato, elevato all’ennesima potenza. Da un punto di vista professionale, inoltre, un medico non può non tener conto che la paura di una denuncia costituisce senz’altro un deterrente alle cure e che questo può essere pericoloso per il singolo e, specie nel caso di malattie trasmissibili, per la collettività».
«Sarebbe vergognoso e ingiusto» commenta invece il signor Ruggero, dopo aver ascoltato la ricostruzione dei fatti: un uomo di nazionalità marocchina senza più permesso di soggiorno è stato denunciato dal dottore del Pronto soccorso cui si era rivolto per ricevere delle cure. Alla base delle segnalazioni del caso fatte pervenire all’Ordine dei medici e all’Azienda sanitaria ci sono le testimonianze del paziente, residente in val di Non, e della moglie che quel giorno l’aveva accompagnato in ospedale. «Sarebbe davvero ingiusto, queste cose non dovrebbero succedere» prosegue il signor Ruggero continuando a chiedere notizie.
Secondo chi ha portato alla luce il caso, inoltre, il sistema informatico dell’Azienda sanitaria nel quale vengono registrati tutti i pazienti che hanno accesso alle cure delle strutture ospedaliere conserverebbe traccia del fatto che all’uomo non è stato consentito di completare gli accertamenti e non ha ricevuto nessuna indicazione terapeutica. Rimane anche il dubbio riguardo alla necessità di ricorrere alle forze dell’ordine per lo stato di agitazione del paziente e non, ad esempio, a uno psicologo o psichiatra.
«La gente va curata tutta» ci dice una signora che preferisce rimanere anonima. «Certo — le fa eco il marito, anche lui non vuole dire il proprio nome — ma è anche giusto che tutti possano essere identificati, ognuno deve avere con sé i documenti». «Non si può mandare i via i pazienti senza una terapia, è anche pericoloso per la salute degli altri — aggiunge la donna — prima si prestano le cure, poi dopo si bada al resto». Un anziano di origini calabresi, da una vita ormai residente in Trentino, si avvicina e ricorda «quando gli immigrati eravamo noi del Sud». Sono in tanti, tuttavia, a dire di non conoscere la vicenda o comunque a non volerne parlare. Anche il sindaco Ruggero Mucchi: «Non sono a conoscenza del caso — riferisce — e preferisco non dire nulla in proposito».
Chi invece si è espresso è stato Anelli, presidente della Federazione nazionale: «Bene ha fatto l’Ordine ad avviare l’attività disciplinare, per dare modo al medico di fornire la sua ricostruzione dei fatti e per tutelare il principio secondo cui il comportamento dei medici deve essere valutato secondo le regole del codice deontologico».