Violenza sulle donne migranti, la testimonianza di Hauser «Una barbarie spesso ignorata»
BOLZANO. «Le storie che accompagnano le donne migranti sono spesso banalizzate, rinchiuse negli standard. Molti dei motivi che le spingono a spostarsi non vengono quasi mai analizzati con la dovuta profondità».
Monika Hauser è la fondatrice del movimento «Medica Mondiale» che da 25 anni aiuta le donne negli scenari mondiali più complicati. Dai paesi in guerra alle realtà dove la dignità femminile è spesso un traguardo troppo difficile da raggiungere.
Hauser, ieri, era ospite della commissione provinciale pari opportunità per raccontare il suo impegno.
«La guerra è la prima causa di emigrazione — dice — poi si aggiungono tematiche femminili come la violenza sessuale, la paura di essere uccise dal compagno, l’insopportabile condizione del matrimonio combinato e la mutilazione genitale. Pratiche del medioevo che invece esistono ancora nei paesi dove queste donne vivono e da queste nazioni vogliono poi fuggire. Eppure quando puntiamo il dito contro i migranti banalizziamo anche queste barbarie».
Il tema della conferenza è stato proprio quello dell’immigrazione. «Medica Mondiale» è un’associazione tedesca e ha riportato la situazione attuale in Germania dove un terzo dei profughi è donna. «Sono persone in viaggio che scappano da qualcosa — spiega Hauser —. Spesso vivono una violenza continua: sia nel Paese da cui fuggono sia lungo il percorso. I responsabili sono diversi e la gran parte delle volte si tratta di maschi che si trovano con loro lungo la rotta».
Non ci si può fidare ad occhi chiusi nemmeno delle autorità locali, riflette poi la fondatrice del movimento. «Purtroppo sono molti i racconti di violenze perpetrate da coloro che dovrebbero essere le forze di sicurezza».
Situazioni che complicano, ovviamente, il quadro psicologico di queste donne. «Quando arrivano da noi sono persone provate che nu- trono una grande diffidenza verso chiunque. Vanno ricostruite a va loro restituita la forza per guardare avanti cercando di proteggerle dalla violenza che possono trovare anche nel Paese di arrivo. A volte ci si trova a vivere in una situazione di costante pericolo. Avvertono un’angoscia continua».
Le difficoltà, inoltre, spesso si compenetrano. «In Paesi come Siria, Afghanistan, Iraq, Somalia o Eritrea — continua Hauser — la guerra porta con sé le violenze sessuali. Lo scenario catastrofico e caotico è perfetto per certi delinquenti. Queste donne scappano pure da questa giungla».
Come si può fare, però, per aiutarle davvero? «Nella regione del Nordhein-Westfalen in Germania abbiamo coinvolto 14 donne nell’elaborazione di un progetto puntuale di aiuto — sottolinea la fondatrice —. È emerso che i corsi di formazione specialistica e linguistica sono quanto di più necessario. Permettono di capire la nuova realtà e di proporsi anche professionalmente. Seppur per posizioni semplici e non subito apicali. Il tutto va sostenuto da un lavoro di supporto psicologico per tutelare la loro fragilità. Riuscire a comunicare e sentirsi minimamente competitivi sul mercato del lavoro è la prima pietra su cui costruire una nuova donna. Che è ciò per cui lavoriamo quotidianamente».