Pia Zambotti
Una donna che precorre i tempi. Archeologa autodidatta, in lei s’intrecciano intelligenza, determinazione, spirito di indipendenza, studio costante e pluridisciplinare, ampiezza di vedute, capacità di andare oltre gli schemi.
Fu però anche un «personaggio originale, estroso, che ha lasciato il segno», come la ricordano gli abitanti di Fondo, in Val di Non, il paese in cui Pia Zambotti in Laviosa nasce nel 1898 da una famiglia di piccoli commercianti.
«I genitori possiedono un negozio di stoffe e di macchine da cucire nel centro del paese – racconta Maria Grazia Depetris, responsabile della Biblioteca Pia Laviosa Zambotti presso la Soprintendenza per i beni culturali della Provincia di Trento -. Ha però uno zio direttore didattico che sosterrà il prosieguo dei suoi studi superiori a Innsbruck. Non completerà l’iter scolastico, ci sono tracce che la vedono frequentare l’università di Vienna e, dopo la Grande Guerra, forse quella di Padova, ma non disponiamo di fonti che attestino il raggiungimento di una laurea».
Autodidatta, dunque, ma questo non le impedisce nel 1938 di conseguire la libera docenza in paletnologia presso l’Università di Milano, dove insegnerà fino all’anno accademico 1964-65, come precaria. «Non riuscì mai ad ottenere un posto in ruolo e questo per lei fu motivo di grande ansia, preoccupazione e rammarico. Una condizione che viene posta, almeno in parte, alla base del suo suicidio, avvenuto a Milano nel 1965», osserva Depetris.
In ambito archeologico, Laviosa Zambotti negli anni Trenta compie una ricerca a tappeto sul territorio del Trentino Alto Adige, poi nella zona di Reggio Emilia, in Lombardia e in Liguria, regione in cui si occuperà in particolare di palafitte e di civiltà del ferro, definendo anche alcune culture: la civiltà del bronzo palafitticola, che lei chiamò “Polada” o la cultura tardo neolitica “Lagozconoscenza, za” – spiega ancora la responsabile -. Amplia quindi i suoi orizzonti verso la penisola italica, il bacino del Mediterraneo, i Balcani, l’Europa settentrionale». Sono un centinaio le sue pubblicazioni, tra grosse monografie e lavori di sintesi. A muoverla fu sempre un profondo desiderio di che pose anche come condizione per il suo matrimonio. Ebbe un marito ingegnere ferroviario, che lei accettò di sposare giovanissima, «a patto di poter proseguire gli studi, e lui si disse “orgogliosissimo di avere sposato una grande scienziata”» – approfondisce Deptris. Ebbe un unico figlio che morì giovanissimo durante la Seconda guerra mondiale, ed è sepolto a Fondo, luogo a cui lei rimase legatissima.
«Lo considerava il suo buen retiro, continuò ad andarci tutte le estati in una villa costruita ai margini del paese, eretta in memoria del figlio. Naturalmente il suicidio ha messo in imbarazzo da un lato il mondo scientifico, dall’altro l’ha condannata un po’ all’oblio, a una sorta di damnatio memoriae». Fino al 2010, quando la Soprintendenza ha ordinato e inventariato il suo archivio, che contiene moltissimo della sua vita professionale ma quasi niente di quella personale. Un vuoto che si è cercato di colmare con il documentario Pia Laviosa Zambotti.
Storia di un’archeologa, che raccoglie testimonianze su una figura di donna, studiosa, che ha lasciato una traccia profonda nella storia culturale dell’Europa. Il 19 ottobre il film raggiungerà la rassegna del documentario archeologico di Licata, a Catania. «Nei suoi lavori di sintesi cercava di prevedere anche uno sviluppo futuro della civiltà, ipotizzando persino i viaggi extraterrestri e lo sviluppo della Cina come forza economica predominante», conclude Depetris.
Un film ricorda la donna emancipata e l’archeologa autodidatta nata a Fondo. A inizio ‘900 girò il mondo difendendo la sua libertà