Tumore al seno, 400 nuovi casi all’anno
Presentata la campagna «Nastro rosa»: servono controlli e prevenzione
TRENTO Nel 2018, per la prima volta, tutte le proiezioni indicano il cancro della mammella come il tumore più frequente in assoluto, con un’incidenza superiore addirittura a quello del colon retto che colpisce sia donne che uomini. A riferire il dato è il presidente della Lilt trentina Mario Cristofolini: «La prevenzione primaria per questa malattia non è semplice — afferma l’ex primario del reparto di dermatologia del Santa Chiara — molti fattori di rischio non sono modificabili, mentre altri, dal sovrappeso al consumo di alcol, se evitati tutti insieme ridurrebbero l’incidenza solo del 30%». In Trentino si registrano, soprattutto nelle donne over 55-60, circa 400 casi all’anno, una cifra stabile. La percentuale di mortalità si aggira intorno al 12%.
L’occasione per parlare del tumore del seno è stata offerta ieri dalla Lilt nell’ambito della campagna «Nastro rosa», che vede l’associazione impegnata ogni anno a ottobre a lanciare un messaggio a favore di prevenzione e diagnosi precoce, le armi più importanti. L’adesione allo screening mammografico, offerto a tutte le donne residenti in provincia di età compresa tra i 50 ed i 69 anni e recentemente integrato con la tomosintesi, raggiunge l’80%. «La partecipazione a queste analisi a campione, insieme a sani stili di vita, regolari controlli medici e all’auto-palpazione, sono strumenti fondamentali» sostiene il direttore dell’unità operativa di oncologia medica Orazio Caffo. In Trentino, inoltre, è stata allestita la «breast unit», la rete clinica senologica ,« un modello organizzativo basato sulla multi professionalità—come spiega la coordinatrice, l’on- cologa Antonella Ferro — che dove è stato applicato ha garantito un aumento della sopravvivenza del 18%».
Dal chirurgo allo psicologo, per ogni paziente viene creato un percorso diagnostico terapeutico assistenziale. Da novembre sarà a disposizione anche un’infermiera di riferimento.Sul fronte della ricerca, invece, passi avanti si stanno cercando di fare al Cibio, che fa parte del consorzio che da metà settembre ha avviato il progetto «Prochip» che punta a realizzare un dispositivo in grado di acquisire immagini ad altissima risoluzione delle cellule del tumore per individuare standard comuni capaci di guidare in modo più efficace la terapia.