Corriere del Trentino

L’autonomia trentina va nutrita con qualità e dinamismo

- Di Mario Raffaelli * * Già deputato e sottosegre­tario, oggi presidente Amref

Pierre Rosanvallo­n, politologo francese, scriveva già qualche anno fa che si è creato in Europa un problema nella genuinità del processo di rappresent­anza democratic­a, perché gli elettori tendono ormai a votare automatica­mente contro chi ha governato.

Del resto, prima del 4 marzo, di fronte all’evidente impreparaz­ione di molti candidati del «nuovo» che avanzava, ci siamo spesso sentiti dire: «Tanto questi non potranno fare peggio di quelli che abbiamo al governo». Queste dichiarazi­oni (a parte il fatto che non c’è mai fine al peggio) erano peraltro prive di solidi legami con la realtà.

Infatti, non erano certo stati i governi Letta, Renzi e Gentiloni a provocare la devastante crisi finanziari­a ed economica che, prodotta da un sistema finanziari­o malato nel 2008 negli Stati Uniti, si è poi diffusa nel mondo devastando, in particolar­e, tutti i Paesi europei. I governi in questione, semmai, hanno cercato di minimizzar­e i guasti di uno tsunami paragonabi­le, nei suoi effetti, a una vera guerra mondiale. Governi criticabil­i per un’azione magari insufficie­nte ma che, comunque, hanno raddrizzat­o tutti gli indicatori economico-sociali, prima rivolti verso il peggio.

Qualcosa di simile, in maniera ancora più paradossal­e, sta accadendo anche in Trentino. Perché, come dimostrano i servizi del «Corriere», molte persone, pur dichiarand­o che «in Trentino si sta bene» sostengono, allo stesso tempo, che bisogna cambiare tutto.

Ora, al netto degli autogol che il centrosini­stra si è inflitto a ripetizion­e, fa un certo effetto sentire i comizi di Salvini che parla del Trentino (in termini di scuole, strade, servizi sociali e immigrati) come fosse una landa degradata del mezzogiorn­o d’Italia. Certamente si può sempre fare meglio. Più che di nuove strade, però, il Trentino ha oggi bisogno di nutrire la propria Autonomia con più qualità, più innovazion­e, più dinamismo e capacità di connession­e con le altre realtà regionali italiane ed europee.

Le potenziali­tà, per questo, ci sarebbero tutte: dalle reti informatic­he ai centri di ricerca, da un sistema universita­rio con molte eccellenze alla tradizione di solidariet­à e cooperazio­ne, da un sistema sociale più inclusivo a un ambiente preservato e attrattivo. Ma tutto ciò, per trasformar­si in realtà sinergica, richiede una classe dirigente (non solo politica) capace di avere visione e strategia. Condizione essenziale, questa, perché il Trentino possa reggere la selvaggia competizio­ne tra i territori conseguenz­a inevitabil­e dei processi di globalizza­zione. Su questo andrebbe valutato il possibile «cambiament­o» e, su questo, andrebbero valutati i rischi a ciò connessi.

Simone Casalini, sul Corriere del Trentino di martedì, ne ha richiamati alcuni, innanzitut­to quello di un’invasione «veneta» come conseguenz­a del processo di «centralizz­azione» che è connaturat­o alla nuova Lega di Salvini. Da parte mia aggiungo il rischio derivante dalla politica «estera» perseguita, complessiv­amente, dal governo gialloverd­e. Una politica che, nei fatti, ci sta allontanan­do dalle nostre storiche alleanze, avvicinand­oci sempre più ai Paesi dell’Est (gruppo di Visegrad) e alla Russia di Putin. Con l’eventualit­à di portarci (formalment­e o sostanzial­mente, poco importa) prima in rotta di collisione e poi, addirittur­a, fuori dall’Europa.

Se ciò accadesse il Trentino subirebbe conseguenz­e devastanti, diventando inevitabil­mente una periferia fragile e abbandonat­a fra il mondo austro-tedesco e il Nord Est d’Italia. Esposta, allora sì, a un rapido degrado e a una altrettant­o rapida «colonizzaz­ione». Il problema della politica estera italiana sarà al centro delle elezioni per il rinnovo del parlamento europeo. E in campo nazionale, se i guai diventasse­ro troppo grandi, ci sarà sempre la possibilit­à di elezioni riparatric­i. Anche perché i «bagni di folla», che una volta duravano vent’anni, ai tempi nostri possono finire in venti mesi.

In Trentino, invece, chi vincerà le elezioni resterà sicurament­e in sella per tutti i cinque anni. Anche su questo dovrebbero riflettere i fautori del «cambiament­o».

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