L’autonomia trentina va nutrita con qualità e dinamismo
Pierre Rosanvallon, politologo francese, scriveva già qualche anno fa che si è creato in Europa un problema nella genuinità del processo di rappresentanza democratica, perché gli elettori tendono ormai a votare automaticamente contro chi ha governato.
Del resto, prima del 4 marzo, di fronte all’evidente impreparazione di molti candidati del «nuovo» che avanzava, ci siamo spesso sentiti dire: «Tanto questi non potranno fare peggio di quelli che abbiamo al governo». Queste dichiarazioni (a parte il fatto che non c’è mai fine al peggio) erano peraltro prive di solidi legami con la realtà.
Infatti, non erano certo stati i governi Letta, Renzi e Gentiloni a provocare la devastante crisi finanziaria ed economica che, prodotta da un sistema finanziario malato nel 2008 negli Stati Uniti, si è poi diffusa nel mondo devastando, in particolare, tutti i Paesi europei. I governi in questione, semmai, hanno cercato di minimizzare i guasti di uno tsunami paragonabile, nei suoi effetti, a una vera guerra mondiale. Governi criticabili per un’azione magari insufficiente ma che, comunque, hanno raddrizzato tutti gli indicatori economico-sociali, prima rivolti verso il peggio.
Qualcosa di simile, in maniera ancora più paradossale, sta accadendo anche in Trentino. Perché, come dimostrano i servizi del «Corriere», molte persone, pur dichiarando che «in Trentino si sta bene» sostengono, allo stesso tempo, che bisogna cambiare tutto.
Ora, al netto degli autogol che il centrosinistra si è inflitto a ripetizione, fa un certo effetto sentire i comizi di Salvini che parla del Trentino (in termini di scuole, strade, servizi sociali e immigrati) come fosse una landa degradata del mezzogiorno d’Italia. Certamente si può sempre fare meglio. Più che di nuove strade, però, il Trentino ha oggi bisogno di nutrire la propria Autonomia con più qualità, più innovazione, più dinamismo e capacità di connessione con le altre realtà regionali italiane ed europee.
Le potenzialità, per questo, ci sarebbero tutte: dalle reti informatiche ai centri di ricerca, da un sistema universitario con molte eccellenze alla tradizione di solidarietà e cooperazione, da un sistema sociale più inclusivo a un ambiente preservato e attrattivo. Ma tutto ciò, per trasformarsi in realtà sinergica, richiede una classe dirigente (non solo politica) capace di avere visione e strategia. Condizione essenziale, questa, perché il Trentino possa reggere la selvaggia competizione tra i territori conseguenza inevitabile dei processi di globalizzazione. Su questo andrebbe valutato il possibile «cambiamento» e, su questo, andrebbero valutati i rischi a ciò connessi.
Simone Casalini, sul Corriere del Trentino di martedì, ne ha richiamati alcuni, innanzitutto quello di un’invasione «veneta» come conseguenza del processo di «centralizzazione» che è connaturato alla nuova Lega di Salvini. Da parte mia aggiungo il rischio derivante dalla politica «estera» perseguita, complessivamente, dal governo gialloverde. Una politica che, nei fatti, ci sta allontanando dalle nostre storiche alleanze, avvicinandoci sempre più ai Paesi dell’Est (gruppo di Visegrad) e alla Russia di Putin. Con l’eventualità di portarci (formalmente o sostanzialmente, poco importa) prima in rotta di collisione e poi, addirittura, fuori dall’Europa.
Se ciò accadesse il Trentino subirebbe conseguenze devastanti, diventando inevitabilmente una periferia fragile e abbandonata fra il mondo austro-tedesco e il Nord Est d’Italia. Esposta, allora sì, a un rapido degrado e a una altrettanto rapida «colonizzazione». Il problema della politica estera italiana sarà al centro delle elezioni per il rinnovo del parlamento europeo. E in campo nazionale, se i guai diventassero troppo grandi, ci sarà sempre la possibilità di elezioni riparatrici. Anche perché i «bagni di folla», che una volta duravano vent’anni, ai tempi nostri possono finire in venti mesi.
In Trentino, invece, chi vincerà le elezioni resterà sicuramente in sella per tutti i cinque anni. Anche su questo dovrebbero riflettere i fautori del «cambiamento».