LE TANTE INCOGNITE DEL VOTO
C’è sempre una prima volta. E per il Trentino potrebbe cadere domani quando, esaurite le procedure elettorali e consumato lo spoglio, si saprà se l’unica provincia del Nordest non leghista sarà capitolata ai piedi di Matteo Salvini. Il suo attivismo nella campagna elettorale non rientra nelle liturgie elettoralistiche, ma indica piuttosto la cifra di quello che la Provincia autonoma vale in questo momento. Da un punto di vista storico, perché il centrodestra non ha mai governato a queste latitudini. Da un punto di vista simbolico, perché Trentino e Alto Adige/Südtirol (in quest’ultimo la Lega può scalzare il Pd come partner di governo della Svp) sono le autonomie speciali più evolute nel rapporto benefici economici/competenze acquisite dallo Stato e dunque un nuovo campo su cui misurarsi anche in vista delle esperienze che avanzano in Veneto e Lombardia. Da un punto di vista politico, perché la caduta di una storica roccaforte del centrosinistra aprirebbe un successivo varco con direzione Emilia Romagna e Toscana, assegnando al test una valenza nazionale. Con Friuli Venezia Giulia, Veneto, Lombardia la Lega ricompatterebbe poi il Nordest sotto un’unica bandiera e, forse, un’unica strategia.
Il Trentino, insomma, rischia di scivolare verso un’omologazione al quadro nazionale e al vicino Nordest con tutte le incognite relative ai processi di subalternità.
Del resto la campagna elettorale è stata una spia potente: i temi nazionali si sono sovrapposti a quelli locali, spesso scalzandoli, e i ministri (e i loro predecessori) hanno saturato con i loro caroselli gli spazi del voto. In molti casi riproponendo le fratture che stanno contraddistinguendo il (non) governo Movimento 5 stelle-Lega. Tale scivolamento, tuttavia, si manifesta anche come esito della mancata innovazione politica che da alcuni anni patisce il Trentino, come riflesso pure di un collasso sociale. Dopo aver lanciato la Margherita negli anni Novanta con Lorenzo Dellai, dopo i mille laboratori a sinistra figli anche della specificità del cattolicesimo trentino, dopo i tentativi di territorializzare il centrodestra, in particolare con Forza Italia nel primo decennio dei Duemila, la sperimentazione è rifluita, sostituita dall’ultimo dei leader nazionali (prima Renzi, ora Salvini).
La stessa Autonomia speciale ha imboccato una fase di affaticamento, declinando su una dimensione più procedurale. Il rischio, in questo frangente caratterizzato da una sorta di focomelia politica e concettuale, è di muovere verso l’idea di una «postautonomia» dove la specificità dell’autogoverno, delle competenze, di una peculiarità quasi ontologica terminino su uno sfondo, sopravanzate dalla loro storicizzazione.
Il primo dato politico da osservare questa sera sarà l’affluenza. C’è uno scarto del 15%, più o meno, tra chi si esprime alle elezioni politiche e chi a quelle provinciali. Un elettorato normalmente che guarda a destra o a proposte di rottura (M5s). L’assottigliamento di questa forbice potrebbe premiare la proposta del centrodestra, ma anche essere compensato da una quota di diserzione di elettori, delusi dalla frantumazione del quadro politico e da una democrazia locale sempre più fragile. La La sede della Provincia di Trento seconda incognita è se la coalizione vincente scavallerà il 40% che dispone il premio di maggioranza (21 consiglieri su 35), in caso contrario sarà una legislatura di mediazione che si appoggerà sulla necessità di ricercare consensi nell’emiciclo, rafforzando il ruolo dei potenziali aghi della bilancia (Movimento 5 stelle e Patt).
Saranno, poi, decisivi altri fattori come la transumanza al centro o gli effetti della separazione nel centrosinistra autonomista o, ancora, l’indisponibilità a disperdere nel leghismo — o meglio, nel salvinismo — i tratti finora prevalenti della cultura trentina. Obiezione che alle elezioni politiche non si è attivata.
Se la proposta del Carroccio supererà la prova del voto, si apriranno scenari inediti con una radicale torsione nel sistema delle relazioni — interne ed esterne al Trentino — e negli equilibri di potere. La neutralità della cooperazione in questa campagna elettorale sembra esserne un’anticipazione. Se, viceversa, dovesse prevalere la proposta del riassemblato centrosinistra — al momento più un’ipotesi d’accademia —, si aprirebbe comunque una fase di radicale ripensamento. Due cambiamenti, molto distanti tra loro, ma che chiuderebbero di fatto un ciclo storico.