UN CIRCOLO VIZIOSO PERICOLOSO
Con le elezioni del 21 ottobre si chiude un’epoca e una storia. La Democrazia cristiana, che aveva dominato la politica nazionale e ancor più quella locale, arriva al suo definitivo inabissamento dopo un lungo travaglio. Lo sgretolamento iniziato con tangentopoli negli anni Novanta, il tentativo di resistenza della Margherita e, a livello locale, dell’Upt giunge al termine senza nemmeno uno scricchiolio. Il suono che produce è simile a quello della sabbia che scorre in una clessidra, prossimo allo zero. Così risultano ugualmente afoni i suoi dirigenti.
Il Pd ha radici lontane, ma invece una storia più recente. Ha generato buoni amministratori, ma una mediocre classe politica. L’avvicinamento alla data del voto è stato penoso: innumerevoli direttivi, segreterie, assemblee di assoluta inconcludenza. Se, come è stato detto, il voto è stato la rivolta contro l’élite, problematico è identificare qui una élite, un progetto.
Quello che sembrava un terzo polo al di qua della destra, i civici di Valduga, dopo essere stati appesi al movimento oscillatorio di Daldoss, un leader che non era un loro leader, si sono ritirati: Valduga nel silenzio, Gottardi in seno alla destra. Valduga, superato lo choc, è tornato a parlare affermando che il movimento apartitico dei civici è la carta vincente. Il Trentino — ne è certo — ha bisogno di loro. Ne era certo anche prima del 21 ottobre.
La Lega ha vinto. Non ha stravinto. Fugatti ha fruito del vento favorevole che ha spinto nel suo accampamento ben nove microliste.
Non un quadro politico, ma un patchwork. Il massimo che si possa avere quando si accantonano le ideologie, vale a dire le idee, è si sta attaccati alle istanze del presente. Vicini al popolo e a suoi bisogni si dice. Sul bordo di questo accampamento il M5S che in Trentino è tornato alla sua primitiva irrilevanza.
Ricordo alcuni anni fa Berlusconi che predicava da un palco elettorale che in tre anni sarebbe stato sconfitto il cancro. Ho sentito recentemente Di Maio affermare che con i Cinquestelle era stata sconfitta la povertà. La cosa impressionante è che forse questi leader non mentono ma credono a quello che dicono, e che il «popolo» che li ascolta ci crede ugualmente in un circolo vizioso di autoinganno. Scriveva Simone Weil che i potenti fanno sognare ai deboli i loro stessi sogni. Dunque, quando si dice che è necessario riportarsi al popolo, non è con i propri sogni che lo si deve fare, e nemmeno però con le istanze più immediate. I bisogni vanno articolati all’interno di un progetto. Non è possibile avere una misura del presente se non rapportandolo al futuro. Alle idee, al complesso delle idee, all’ideologia, e forse anche a una qualche dose di utopia.