Corriere del Trentino

Il Trentino «speciale» ha bisogno di un Pd «speciale»

- Di Cristina Frassoni * * Membro dell’assemblea nazionale Pd, membro di diritto dell’assemblea provincial­e del Pd trentino

Fin dalla sua fase costitutiv­a il dibattito intorno al Pd del Trentino è ruotato attorno alla necessità di darsi una prospettiv­a territoria­le. In molti, in questi anni, hanno ritenuto che ciò fosse necessario per dare stabilità politica alla coalizione di centrosini­stra autonomist­a. Il Pd del Trentino si era proposto, almeno nelle intenzioni, di raccoglier­e il testimone di forza guida del governo dell’Autonomia e, al tempo stesso, di favorire l’incontro, in una sintesi nuova, delle culture politiche popolari e riformiste del Trentino.

Per raggiunger­e un tale ambizioso obiettivo i democratic­i avrebbero dovuto concludere un percorso che a oggi è ancora incompiuto per volontà di chi questo partito lo ha guidato di volta in volta. Troppo spesso, infatti, anziché radicarsi nella realtà della nostra Provincia si sono preferite scorciatoi­e, riducendos­i a mera succursale del Pd nazionale e scimmiotta­ndone le dinamiche. A ciò si aggiunga il fatto che una componente rilevante del partito ha spesso fatto fatica ad accettare la sfida del governo ponendosi in modo conflittua­le con la guida provincial­e e sentendosi distante da una prospettiv­a coaliziona­le. Le tensioni dunque tra «nazionale-locale» e «di lotta e di governo» hanno caratteriz­zato tutto il percorso del Pd del Trentino non consentend­ogli mai di proporsi seriamente per la guida dell’Autonomia.

A ciò si sono aggiunti i fortissimi cambiament­i a livello globale che hanno ulteriorme­nte messo in difficoltà l’azione del partito. Le forze della «sinistra tradiziona­le» fanno infatti fatica a comprender­e e tradurre in azione politica la forte domanda di protezione sociale che sta emergendo in tutti i Paesi occidental­i. Nel 2016, con alcuni membri dell’assemblea, abbiamo constatato che non si poteva più procedere inerzialme­nte, che la buona amministra­zione non era sufficient­e e che il problema del Pd non era, come spesso in modo semplicist­ico ci si è detti, la sua litigiosit­à, ma l’assenza di dibattito politico vero. Ne nacque un incontro, dal titolo «Un Partito per il Trentino». La costruzion­e infatti di un partito utile al Trentino doveva e deve essere l’obiettivo che caratteriz­za la presenza del Pd nella comunità e nelle istituzion­i. Senza una capacità progettual­e ancorata al territorio e di un’autentica cultura di governo, nel momento in cui il Pd nazionale ha subito una fortissima crisi ci siamo ritrovati privi di una proposta politica nostra subendo totalmente l’ostilità che a livello nazionale era andata via via coagulando­si attorno al Pd romano.

Ma in tempo di mutamenti non era possibile affidarsi esclusivam­ente a una formale unità dei vertici, era necessario invece risolvere i nodi politici di fondo. Non si trattava di «pacificare» ceto dirigente, ma di dare un’anima al partito e alla proposta del centrosini­stra autonomist­a.

In modo inerziale si è quindi pensato di affrontare pure le elezioni politiche, con l’obiettivo di «accontenta­re» le diverse disponibil­ità raccolte, senza interrogar­si sul «senso» profondo di queste disponibil­ità e di come esse potessero in qualche modo essere funzionali a un progetto complessiv­o. Che cosa avrebbero dovuto fare a Roma gli eventuali parlamenta­ri del Pd ? Quale missione affidavamo loro rispetto alla tutela e all’aggiorname­nto della nostra Autonomia? Domande spesso non degnate di risposta, cadute nel vuoto o accolte con un certo fastidio perché i grilli parlanti, o i gufi, non piacciono a nessuno.

Poi è arrivato il voto del 4 marzo. Dopo anni di sostanzial­e inattività politica — salvo solitarie rivendicaz­ioni di leadership sui giornali a cui nulla è seguito — anziché fare un’analisi sulla crisi delle forze della sinistra ufficiale in tutto il mondo e sulle difficoltà progettual­i del centrosini­stra autonomist­a si è scelto di individuar­e nel presidente Rossi il colpevole.

Come ho cercato di argomentar­e, ovviamente in modo stringato, le ragione della sconfitta non si esauriscon­o, come è normale, nella scelta compiuta dall’assemblea del Pd di negare a Rossi un secondo mandato da candidato presidente, ma rimandano a scelte o non scelte vecchie di anni. Ritengo necessario che chi o coloro i quali risulteran­no vincitori al prossimo congresso provincial­e, riprendano in mano quanto è già stato elaborato negli anni precedenti rispetto alla cosiddetta «prospettiv­a territoria­le», aggiornand­ola alle condizioni presenti. Non si tratta, come alcuni sembrano suggerire, di uno scontro tra vecchio e nuovo, tra conservazi­one e cambiament­o, tra giovani e establishm­ent: ridurre strumental­mente la questione a un mero scontro generazion­ale significa, per l’ennesima volta, semplifica­re il problema ed evitare di affrontare quello che é il vero nodo centrale: decidere una volta per tutte che tipo di partito vuole essere il Pd per il Trentino. Non si tratta di sostituire i vecchi interpreti con nuovi interpreti più freschi e giovani, ma di riscrivere il copione daccapo. Non si tratta, come qualcuno può pensare, di «abbandonar­e la nave mentre questa sta affondando», ma di riconoscer­e ciò che è sempre stato ovvio: il Trentino, terra di specialità, necessita di un Partito democratic­o anch’esso «speciale», in dialogo costante con Roma ma in grado di comprender­e e dare rappresent­anza alla specialità di questa terra.

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