Corriere del Trentino

Pacher incalza i democratic­i «Basta Roma, nuovo nome»

L’ex vicepresid­ente Pacher incalza i dem: subito il congresso, scollegato da quello nazionale

- Giovannini

Un soggetto nuovo «che vada oltre il Pd». E che magari non si chiami più nemmeno Pd. La visione è dell’ex vicepresid­ente della Provincia Alberto Pacher, che incalza i dem: «Ora il congresso, svincolato dal nazionale». E su Trento: «Andare in crisi vuol dire perdere un baluardo».

TRENTO «Oggi essere il Pd del Trentino non è sufficient­e». Alberto Pacher parte da qui: in vista di un congresso «che mi auguro sia convocato in tempi brevi e sia scollegato da quello nazionale», l’ex vicepresid­ente della Provincia disegna i contorni di un soggetto nuovo. Che tenga conto dell’annus horribilis in via di conclusion­e e che punti a «recuperare quell’area di opinione che oggi non è più con noi». Un soggetto magari confederat­o con il nazionale, ma che potrebbe non chiamarsi neppure Pd: «Non mi sentirei legato in modo inscindibi­le al nome» osserva Pacher. Che da ex sindaco di Trento ha seguito anche le tensioni sul rimpasto di giunta: «Ora è necessario l’impegno di tutti per ritessere un disegno di futuro di città».

Partiamo proprio dal capoluogo: il sindaco Alessandro Andreatta si ritrova con una maggioranz­a sulle barricate. Condivide le critiche delle forze politiche?

«Non voglio entrare nel merito delle decisioni: quando non si è direttamen­te coinvolti sfuggono molte delle variabili in gioco. Mi auguro però che questo rimpasto chiuda l’annus horribilis del centrosini­stra autonomist­a, che dalle politiche in poi ha gestito le varie fasi quasi con un atteggiame­nto di accaniment­o verso se stesso. Sono d’accordo con Lorenzo Dellai: la coalizione è andata in crisi non perché si è divisa, si è divisa perché era in crisi. Una crisi data dal fatto che la coalizione stessa aveva bisogno di essere alimentata in questi anni. E così non è stato».

In che senso?

«Si è pensato fosse sufficient­e l’azione amministra­tiva, dove effettivam­ente la maggioranz­a provincial­e ha fatto bene. Ma non era così: c’era bisogno anche di una alimentazi­one politica. Lo si vede bene a livello nazionale, dove il disastro della sindaca Raggi su Roma è irrilevant­e per il seguito dei 5 Stelle: il movimento perde consensi per le fratture interne ma non per i problemi dell’amministra­zione della Capitale».

Torniamo al Comune.

«Le reazioni delle forze politiche sono in parte legate alla ripartizio­ne dei pesi in giunta e in parte al metodo. Ecco: la coalizione dovrà lavorare affinché questa situazione non si riverberi sulle elezioni del 2020. Visto quanto è successo quest’anno, oggi non abbiamo garanzie: in un anno è cambiato il mondo e quindi prevedere il 2020 è difficile. Ma è bene muoversi con prudenza».

Come deve agirei dunque la maggioranz­a?

«A fianco dell’azione amministra­tiva concentrat­a sulle priorità, ci dovrà essere una mobilitazi­one dell’intera area per ritessere un disegno di futuro di città, al di là della composizio­ne della giunta: bisogna trasmetter­e un’idea di città. Per fare questo anch’io penso sia importante che si proponga una nuova classe dirigente, fuori da ogni intento di rottamazio­ne. Penso ai giovani di Pd, Upt e Patt che si sono messi in luce alle provincial­i: sarebbe importante che tra loro si aprisse un dialogo. Andare avanti a strappi e a deficit procedural­i vorrebbe dire destinare la coalizione a un nuovo schianto».

Ha citato il Patt: dai vertici del partito non arrivano però segnali positivi per un’azione comune con Pd e Upt. Lei ci crede ancora?

«Mi auguro che sia così. In ogni caso credo che si dovranno rivedere anche i grandi contenitor­i. Penso al Pd, visto che l’Upt in questo momento ha problemi più profondi: la parte più di centro deve ricostruir­e le sue relazioni e tornare ad avere una presenza importante sul territorio. Del resto, se il Trentino ha rappresent­ato un’anomalia in tutta Italia è anche perché da noi una parte importante dell’opinione pubblica di centro ha deciso di aderire a un progetto di centrosini­stra. Altrove non è successo».

E il Pd?

«Auspico che venga convocato quanto prima il congresso provincial­e e che sia scollegato da quello nazionale. Il Pd deve riflettere sulla propria fisionomia: oggi essere il Pd del Trentino non è sufficient­e».

Cosa intende

«Oggi il Pd nazionale sta vivendo il suo momento di massima crisi e rischia di andare a sbattere. È come quando abbottoni un vestito: se associ il primo bottone all’asola sbagliata di conseguenz­a sono sbagliati anche gli altri bottoni. E così mi pare il quadro nazionale. Per questo credo che il Pd locale debba scollegars­i dal nazionale e concentrar­si sulla presenza dell’area democratic­a in Trentino. Pensare a qualcosa di nuovo».

Che non si chiami più nemmeno Pd?

«Non mi sentirei legato in modo inscindibi­le al nome, anche se magari si può pensare a una confederaz­ione con il nazionale. Bisogna andare oltre: il problema del Pd, oggi, non è organizzar­e il voto a sinistra ma recuperare l’area di opinione che non è più con noi e che non ci guarda più con simpatia».

Ultima domanda: Andreatta finirà il mandato?

«Spero e penso di sì. Certo, il metodo del rimpasto non ha favorito l’attenuazio­ne dei malumori. Ma mettere in crisi la città oggi vorrebbe dire rischiare di perdere un baluardo importante».

 Capoluogo Andare in crisi a Trento vuol dire rischiare di perdere un baluardo molto importante

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