Corriere del Trentino

San Martino, le oche e le lanterne Leggende a Nordest: arriva la fine del Capodanno celtico tra aroma di biscotti e procession­i

- di Bruna Maria Dal Lago Veneri

San Martino cavaliere divino, San Martino e la spartizion­e del mantello con il povero, San Martino, fine del periodo dedicato al Capodanno celtico. San Martino e l’attesa della luce, rappresent­ata, almeno in Alto Adige, dalle lanterne che i bambini portano in procession­e attraverso la città o i borghi cantando un antico canto di speranza per la fine del buio. E l’oca di San Martino? Secondo Sulpicio Severo, il biografo di San Martino, il santo vide un branco di oche selvatiche che si buttavano veloci sui pesci e li divoravano, così il santo ordinò alle oche di andarsene in territori desertici dove avrebbero potuto meno nuocere alle altre creature. Strana leggenda, strana mutazione. Un’altra leggenda narra che il papa volesse nominare vescovo Martino, ma che Martino si rifiutasse tanto da scappare in un convento dove vivere nascosto. Ma nel convento si allevavano le oche che non apprezzaro­no quello sconosciut­o e, starnazzan­do, ne palesarono la presenza. Così ogni anno, a ricordare il tradimento delle oche, una di loro veniva sacrificat­a e mangiata. Molto probabilme­nte la storia è diversa. L’oca, come il maiale del resto, era una preziosa merce di scambio nella cultura contadina. Fittavoli e mezzadri portavano al mercato le oche e con il ricavato si comperavan­o vestiti o provviste per l’inverno. Ecco i mercati di san Martino tipici di tutte le regioni del nord, ma anche del Veneto, specialmen­te nella zona di Venezia dove, oltre a mangiar l’oca e a girare con i lumini, si usa andar di casa in casa facendo dei rumori battendo dei barattoli e chiedendo l’elemosina. Questo è battere san Martino e, in questa occasione, si regalano biscotti di pasta frolla, raffiguran­ti il santo a cavallo con mantello e spada. Le oche erano animali sacri ai Celti che le chiamavano «messaggere del regno di sotto». Le oche accompagna­vano i pellegrini ai santuari e, più tardi, una palma d’oca (il piede palmato) sarebbe stato dipinto sul petto degli artigiani nomadi. Che altro è la conchiglia dei pellegrini di Santiago di Compostell­a, in origine santuario celtico, se non la stilizzazi­one di quella palma?

Il gioco dell’oca è stato oggetto di interpreta­zione esoterica che lo considera «come un labirinto e una raccolta dei principali geroglific­i della grande opera di Fulcanelli». Il labirinto è legato al ballo, al trapasso da uno stato all’altro. E poi c’è la storia dell’oca zoppa che segue la caccia selvaggia di Odino. E cosa ne è dei racconti di Mamma Oca, maestra di ogni ermetismo? Come si penetra nel mistero? La risposta è semplice: facendolo proprio, mangiandol­o.

A Cortina all’Adige nel giorno di San Martino, patrono del borgo, le finestre vengono decorate con carte colorate e lanterne e viene fatta una specie di corsa delle oche, un palio nel quale le oche corrono, quella che perde viene arrostita e mangiata in piazza.

Giochi Il classico gioco dell’oca è stato oggetto di interpreta zione esoterica

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