Don Bettega: «In tanti provano imbarazzo a farsi aiutare»
Don Cristiano Bettega, oltre ad occuparsi dell’area testimonianza, è anche il delegato all’impegno sociale della Diocesi di Trento. A cosa ci riferiamo quando parliamo di povertà?
TRENTO
«Il discorso sulla povertà è altrettanto in evoluzione quanto la società da un punto di vista politico e culturale. Non possiamo più pensare di risolvere la questione della povertà all’interno di schemi classici. Il concetto di povertà oggi è molto trasversale. È una povertà diffusa e in molti casi nascosta, difficile da percepire».
Come mai?
«Per molti italiani il ricorso ai servizi sociali rappresenta l’extrema ratio. A causa di ostacoli culturali e di tipo emotivo. Si prova imbarazzo ad ammettere a se stessi la situazione di emergenza in cui ci si trova. Molto spesso non si sa neanche a chi rivolgersi».
Una delle cause principali della vulnerabilità sociale è l’esclusione lavorativa.
«È vero e molte di queste situazioni sono legate anche a separazioni familiari che comportano disorientamento e solitudine. Per quanto riguarda gli stranieri però il fenomeno non è legato al mondo del lavoro in sé, ma piuttosto a quell’insieme di pregiudizi che emarginano gli immigrati».
Ha parlato di famiglia, è una delle categorie più esposte.
«Il radicamento familiare sul territorio locale è molto forte e dal momento in cui si originano delle lacerazioni al suo interno insorgono molti problemi: disagio psicologico e soprattutto sociale, nella forma della rassegnazione, della trasandatezza e della solitudine in particolare». e di lungo periodo. Dato che soltanto le persone in carico ai servizi pubblici e da tempo presenti sul territorio con diritti acquisiti (per residenza o per nascita) possono accedere a tali strutture.
Sono state, invece, 620 le persone che hanno usufruito dei servizi di accoglienza serale e notturna temporanea, in preponderanza stranieri, un quinto di essi sono pakistani. Alcuni di loro utilizzano questi servizi di bassa soglia come punto d’appoggio per avere un luogo sicuro dove pernottare nelle fasi di avvio del procedimento di protezione internazionale. Mentre le persone incontrate dalla diocesi nell’ambito dei programmi di accoglienza per richiedenti asilo e corridoi umanitari sono state 187, a cui è stata proposta un’accoglienza in 29 alloggi diffusi. Un dato significativo riguarda la loro età. Più della metà sono sotto i 30 anni e il 17% è costituito da bambini o ragazzi accolti nei propri nuclei familiari.
Infine, soltanto 89 persone — la minoranza tra le 3.421 — si sono rivolte ai servizi inerenti all’ambito dell’orientamento e dell’inserimento lavorativo. «Il vangelo impone una conversione — conclude l’arcivescovo Lauro Tisi — Dall’erogazione dei benefit allo stare insieme con il povero. Se non c’è l’incontro relazionale non si risolvono i problemi, la povertà è sempre caratterizzata da una carenza di relazioni. Se ci occupiamo dei poveri, ci occupiamo del benessere di tutta la comunità. Una società a misura dei primi è una società che crea fratture e che fa male a tutti».