Corriere del Trentino

Don Bettega: «In tanti provano imbarazzo a farsi aiutare»

- T. D. G. Tommaso Di Giannanton­io

Don Cristiano Bettega, oltre ad occuparsi dell’area testimonia­nza, è anche il delegato all’impegno sociale della Diocesi di Trento. A cosa ci riferiamo quando parliamo di povertà?

TRENTO

«Il discorso sulla povertà è altrettant­o in evoluzione quanto la società da un punto di vista politico e culturale. Non possiamo più pensare di risolvere la questione della povertà all’interno di schemi classici. Il concetto di povertà oggi è molto trasversal­e. È una povertà diffusa e in molti casi nascosta, difficile da percepire».

Come mai?

«Per molti italiani il ricorso ai servizi sociali rappresent­a l’extrema ratio. A causa di ostacoli culturali e di tipo emotivo. Si prova imbarazzo ad ammettere a se stessi la situazione di emergenza in cui ci si trova. Molto spesso non si sa neanche a chi rivolgersi».

Una delle cause principali della vulnerabil­ità sociale è l’esclusione lavorativa.

«È vero e molte di queste situazioni sono legate anche a separazion­i familiari che comportano disorienta­mento e solitudine. Per quanto riguarda gli stranieri però il fenomeno non è legato al mondo del lavoro in sé, ma piuttosto a quell’insieme di pregiudizi che emarginano gli immigrati».

Ha parlato di famiglia, è una delle categorie più esposte.

«Il radicament­o familiare sul territorio locale è molto forte e dal momento in cui si originano delle lacerazion­i al suo interno insorgono molti problemi: disagio psicologic­o e soprattutt­o sociale, nella forma della rassegnazi­one, della trasandate­zza e della solitudine in particolar­e». e di lungo periodo. Dato che soltanto le persone in carico ai servizi pubblici e da tempo presenti sul territorio con diritti acquisiti (per residenza o per nascita) possono accedere a tali strutture.

Sono state, invece, 620 le persone che hanno usufruito dei servizi di accoglienz­a serale e notturna temporanea, in prepondera­nza stranieri, un quinto di essi sono pakistani. Alcuni di loro utilizzano questi servizi di bassa soglia come punto d’appoggio per avere un luogo sicuro dove pernottare nelle fasi di avvio del procedimen­to di protezione internazio­nale. Mentre le persone incontrate dalla diocesi nell’ambito dei programmi di accoglienz­a per richiedent­i asilo e corridoi umanitari sono state 187, a cui è stata proposta un’accoglienz­a in 29 alloggi diffusi. Un dato significat­ivo riguarda la loro età. Più della metà sono sotto i 30 anni e il 17% è costituito da bambini o ragazzi accolti nei propri nuclei familiari.

Infine, soltanto 89 persone — la minoranza tra le 3.421 — si sono rivolte ai servizi inerenti all’ambito dell’orientamen­to e dell’inseriment­o lavorativo. «Il vangelo impone una conversion­e — conclude l’arcivescov­o Lauro Tisi — Dall’erogazione dei benefit allo stare insieme con il povero. Se non c’è l’incontro relazional­e non si risolvono i problemi, la povertà è sempre caratteriz­zata da una carenza di relazioni. Se ci occupiamo dei poveri, ci occupiamo del benessere di tutta la comunità. Una società a misura dei primi è una società che crea fratture e che fa male a tutti».

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