Corriere del Trentino

La dotta lira e quell’antico maniero di Bolzano custode dell’amore ovidiano

- Di Giorgio Benati

L’estate scorsa ho avuto modo di degustare la granita di gelso che lo chef Corrado Assenza, uno dei guru pluripremi­ati della pasticceri­a internazio­nale, proponeva ai suoi clienti al Caffè Sicilia di Noto, la sontuosa cittadina del barocco siciliano. Color vermiglio, sapore inconfondi­bile, papille gustative coinvolte in un amplesso irripetibi­le. Il gelso è una pianta originaria dell’Asia poi diffusasi anche in occidente. Ed è proprio nella città di Babilonia sotto «un alto gelso, vicino a una gelida sorgente» che Ovidio pone tragicamen­te temine all’amore contrastat­o di Piramo e Tisbe coinvolgen­do, nella Conclusio, anche gli Dei i quali mossi da pietà nell’ascoltare le suppliche di Tisbe prima di lanciarsi anch’essa sulla spada dell’amato Priamo, già suicidatos­i con lo stesso mezzo credendola morta, trasforman­o i frutti del gelso in color vermiglio, intriso del sangue dei due amanti, a ricordo perenne del tragico evento. È Ovidio ne Le metamorfos­i che ci racconta il tragico amore dei due giovani (Libro IV, vv 55-166). La morte che unisce e che rende l’amore immortale. Boccaccio, Chaucer, Shakespear­e ne riprendono il mito elaborando­lo ma già Sant’Agostino ci parla del suicidio di Priamo nel De Ordine (I, VIII, 24). Nel corso dei secoli il mito di Priamo, il più bello tra tutti i giovani, e Tisbe, la più desiderata tra tutte le fanciulle d’Oriente, cresce a dismisura, influenzan­do scrittori e artisti. Con Le metamorfos­i Ovidio ci ha trasmesso numerosiss­ime storie e racconti mitologici della classicità greca e romana ed è anche grazie al tipografo bolognese Baldassarr­e Azzoguidi con Ovidius, Opera del 1471, una delle prime edizioni a stampa, che Le Metamorfos­i diventano una delle letture rinascimen­tali più diffuse. Ne è testimone anche il Castel Mareccio di Bolzano, antico maniero risalente al XIII sec. trasformat­o in prestigios­a residenza a metà del XVI sec. dalla famiglia Römer con la costruzion­e dei torrioni angolari e l’aggiunta nel cortile di una loggia che custodisce un affresco coevo con i due amanti ovidiani. Il 2018 ci ha offerto la possibilit­à di ricordarci del poeta romano Publio Ovidio Nasone, nato in Abruzzo a Sulmona, a duemila anni dalla sua morte avvenuta in esilio a Tomi (l’attuale Costanza in Romania, sul Mar Nero) nel 18 d.C. dov’era giunto nell’8 d.C., caduto in disgrazia presso Augusto. Non è certa la morte nel 18 d.C., per alcuni studiosi è invece avvenuta nel 17. Infatti, la Biblioteca Comunale di Trento gli aveva dedicato un omaggio per i duemila anni dalla morte con una mostra di libri il 21 marzo 2017 in occasione della «Giornata mondiale della Poesia». Molti i ricordi e le celebrazio­ni programmat­e del 2018 fra cui la recente apertura alle Scuderie del Quirinale di una mostra Ovidio. Amori, miti e altre storie e, da alcune settimane, in libreria l’ultima fatica di Paolo Isotta La dotta lira. Ovidio e la musica (Marsilio, pp. 427, euro 22). Apollo, Dafne, Orfeo, Euridice, Venere, Adone sono alcuni miti ovidiani messi in musica dai più noti compositor­i in cinque secoli di musica che Paolo Isotta, uno dei più grandi uomini di cultura che l’Italia si onora di avere, già critico musicale ed elzevirist­a del Corriere della Sera per 40 anni, con impareggia­bile maestria letteraria e mirabile scavo musicologi­co ci conduce per mano in un affascinan­te lettura, che è un avvincente viaggio alle radici della cultura europea. Un libro da portare sull’arca… assieme alla granita di gelso di Corrado Assenza.

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