LA NECESSITÀ DI UN’IDENTITÀ
Il nostro arcivescovo ha rilanciato un tema importante: le valli.
Il nostro arcivescovo ha rilanciato un tema importante nell’intervista rilasciata al Corriere del Trentino: che sta succedendo nei territori delle nostre valli? La questione riguarda da vicino il futuro della nostra Comunità Autonoma, che deve affrontare una sfida doppia. Da un lato quella derivante dalla dimensione sempre più globale dello sviluppo sociale, economico e delle relazioni culturali. Dall’altro, appunto, quella della sua coesione interna, ovvero dell’evoluzione equilibrata della sua identità.
Il tema delle «periferie» in questo senso diventa centrale, sopratutto se assunto in una chiave «di sistema», come spesso ci esorta a fare papa Francesco: le periferie — geografiche, ma anche sociali, economiche ed esistenziali — come paradigma di un nuovo umanesimo. Una provocazione straordinaria per un’Autonomia speciale come la nostra, nata proprio per difendere e coltivare un piccolo brandello di «umanità» a fronte dei modelli omologanti e talvolta violenti dell’Otto/Novecento.
In questo quadro, il tema posto dall’arcivescovo, non si risolve solo con l’impegno a potenziare semplicemente i servizi pubblici, magari con logiche poco coerenti con la ragionevolezza. Anche perché il problema non riguarda le valli in quanto tali, ma tutta una serie di territori più periferici e cosiddetti «svantaggiati», distribuiti un po’ a macchia di leopardo, magari all’interno di realtà valligiane per altri aspetti molto dinamiche e dotate di tutte le opportunità. Ciò che probabilmente serve è ricucire la trama del territorio, attraverso una strategia generale che valorizzi le vocazioni peculiari di ogni valle e punti ad uno sviluppo civile ed economico diffuso ed inclusivo.
Per questo avevamo pensato, all’epoca, alle Comunità di Valle, nel quadro della riforma istituzionale dell’Autonomia. Si era voluto scommettere sulla capacità delle città e delle valli del Trentino di costruire, prima di tutto, un’idea condivisa del proprio futuro; sulla dotazione di strumenti concertati di programmazione e gestione degli interventi; sulla partnership tra poteri pubblici e forze economiche e sociali dei vari territori. Non mi interessa qui discutere sul perché poi si è cambiato strada. Resta il fatto, a mio parere, che se in qualche modo non si riprende un ragionamento di questo tipo, il differenziale di opportunità tra i territori sarà destinato a crescere.
Chi è forte lo sarà sempre di più e chi è debole — magari perché è piccolo o geograficamente lontano da Trento o dai centri attrattivi di valle — diventerà sempre più debole. Solo il recupero di un’identità (e di una solidarietà) di valle può invertire questa tendenza. Ma, per questo, l’architettura politico-istituzionale del territorio non può essere solo quella dei singoli Comuni che si rapportano con Piazza Dante. E d’altra parte, per come è fatto il Trentino, fondere assieme tanti «nanetti» — a parte ogni altra considerazione — non farà crescere giganti. Perderemo la forza del radicamento e dell’antica capillarità della democrazia locale senza neppure ottenere in cambio i benefici della dimensione di scala.