L’eccesso di regole: una deriva da evitare
Ho letto con attenzione l’editoriale pubblicato sul Corriere del Trentino di sabato 24 novembre della professoressa Paola Giacomoni sul senso dell’etica: da tempo mi occupo con interesse del bene e del male quali attribuzioni, etiche appunto, degli esseri viventi e umani e perciò volentieri propongo queste mie riflessioni sull’argomento. Paola Giacomoni, rilevata la scissione tra volere tutto e subito senza limiti e il bisogno di regole che permettano una convivenza sociale, fa riferimento al concetto di sublimazione che permette o aiuta il controllo interno rispetto al volere egoistico sfrenato. Cita Freud, il padre della psicoanalisi e alcune sue acquisizioni in merito a tale controllo necessario a ogni esistenza comunitaria. Parla di seguito della difficoltà umana a costringersi a vincoli e sacrifici per il fine sociale e sembra dare per scontata una sorta di decadenza ora presente nella nostra società; collega tutto alla fine a una dirigenza politica irresponsabile che fomenta in tutto il mondo una sorta di arresto del processo di controllo degli istinti egoistici per obiettivi sociali elevati. Auspica una sorta di controllo di tipo politico-religioso, quale quello cinese, e ammira alla fine il nostro Trentino con le proprie regole, mettendo in guardia dalla tirannia come soluzione alternativa alla difficile democrazia.
Non posso che condividere l’analisi della professoressa e tuttavia mi permetto qualche altra osservazione su bene, male e controllo sociale. A mio avviso l’errore in cui stanno cadendo le società mondiali non è, paradossalmente, quello che cita e teme Giacomoni, ma il contrario.
Mi spiego: sappiamo che esiste una condizione interna a ogni vivente che esprime immediatamente e per tutta la vita i bisogni primari. Tale condizione va controllata-limitata, ovvero regolamentata, per permettere l’esistenza di aggregazioni sociali. Senza tali regole non è possibile nessun incontro, neppure pensabile un’aggregazione stabile di persone, in quanto per ogni individuo prevarrebbe sempre e solo l’obbligo interno di soddisfare i bisogni primari, ad ogni costo e subito. Ciò significa che senza regole si ha un puro uso immediato e privo di alcun rispetto, facilmente lesivo dell’altro: quindi l’impossibilità di ogni convivenza sociale. Ogni società presente e del passato ha realizzato proprie regole che impone ai propri adepti, fin dalla nascita, tramite l’educazione, spesso ad alto contenuto religioso e tramite l’attività della giustizia.
Tutto si ripete da capo a ogni nuova generazione: la civiltà, ovvero l’insieme delle regole che la costituiscono, non si trasmette geneticamente, ma solo attraverso l’educazione rivolta ad ogni nuovo nato, sempre partendo da zero, ovvero dall’essere che vuole tutto e subito, con egoismo totale e assoluto, che permane nascosto all’interno anche dell’adulto più educato e regolamentato.
C’è dunque un duplice limite alla ragionevolezza, cioè a quel controllo delle parti più selvatiche che tutti auspichiamo, ed è quello del dover ripartire sempre da zero, con ogni nuovo nato, nel processo di educazione, controllo delle pulsioni istintuali, regolamentazione delle istanze primordiali che sono presenti, del tutto uguali nei millenni, in ogni bambino. Bisogna valutare la non trasmissibilità genetica della civiltà per cui alla fine, nonostante tante illusioni e auspici ideologici, non esiste un’evoluzione dell’uomo in sé; esiste certo un’evoluzione dei prodotti tecnologici umani, che è trasmissibile a partire dalle ultime acquisizioni (le precedenti vengono archiviate per sempre); ma ciò nulla ha a che fare con l’essere, ad ogni nuova nascita, del piccolo di uomo che rimane del tutto identica a quella dell’umano di 50 o 10 mila anni fa.
Il secondo limite è dato dal fatto che non si può esagerare nel pretendere da noi umani una regolamentazione della istintualità primitiva, una regolamentazione che travalichi cioè le possibilità insite in ognuno. Perché l’egoismo profondamente radicato nell’uomo è parte del sistema difensivo vitale di ogni specie.
Ora dobbiamo chiederci se a fronte dei fenomeni attuali di ripresa egoistica profonda di massa non si siano valicati limiti non valicabili, magari in nome di un obiettivo di convivenza sociale che è oggettivamente eccessivo rispetto a quanto è tollerabile senza rievocare i meccanismi di difesa primitiva. Ciò succede, banalmente, a causa della crescita della popolazione globale che ha avuto un incremento esponenziale soprattutto dopo la seconda guerra mondiale: da poco più di due miliardi del 1950 agli attuali 7,5. La demografia mondiale è più che triplicata anche in ragione dell’aumento delle possibilità di sostentamento legate alla crescita tecnologica.
I relativi fenomeni di movimenti di persone tra stati e tra continenti superano le possibilità di identificazione nell’altro e di «sublimazione» dei propri istinti, riattivando le profonde e vitali difese verso gli estranei e anche verso chi li sostiene ad ogni costo.
Un aumento reale e sostenibile nel tempo dell’introiezione di regole, per ridurre in ogni umano la discriminazione difensiva e aumentare quindi le possibilità sociali di convivenza, chiederebbe l’intensificazione degli interventi educativi e delle pratiche religiose, ovvero misure ancor più fortemente contenitive della propria istintualità; interventi che evocano, questi sì, scenari totalitari e di regime, quali quelli cinesi che evoca la professoressa.