L’odissea di 12 pachistani. Pagavano le malattie
Sfruttati nel ristorante sushi In manette i due proprietari
I gestori del ristorante della catena «Sushiko» di Riva del Garda, due giovani cinesi, sono stati arrestati per sfruttamento del lavoro ed estorsione. Al ristorante lavoravano dodici pakistani, costretti a undici ore di lavoro con una sola pausa. Chi si ammalava era costretto a pagare: ventisette euro per ogni giorno di assenza, da restituire al datore di lavoro. «Un fatto grave, superato il limite dell’umana dignità» è la ferma condanna espressa dal segretario della Cgil Franco Ianeselli.
TRENTO Undici ore di lavoro con una sola pausa, quindici minuti per mangiare. Poi si ricomincia. Dalla cucina alla sala ristorante, è un via vai continuo, c’è sempre tanto da fare e le portate sui tavoli dei clienti devono arrivare in tempo reale. È la regola. Nabil (il nome è di fantasia per coprire l’identità del lavoratore ndr) ha le piaghe ai piedi, non ce la fa più.
Ma al ristorante della catena «Sushiko» di Riva del Garda è vietato ammalarsi. La malattia si paga. Ventisette euro per ogni giorno di assenza che vanno restituiti al datore di lavoro. Nabil deve mandare i soldi in Pakistan, non può premetterselo, come tutti i suoi colleghi. Poi crolla, non ce la fa più. È costretto a restare a casa perché le piaghe fanno troppo male, non riesce a reggersi in piedi; i soldi però li ha guadagnati e non li vuole restituire. Prova a tenere duro, ma viene licenziato e gettato su una strada. Nabil non ha diritto alla disoccupazione perché formalmente non è stato licenziato, in mano ai due imprenditori c’è una lettera di dimissioni che riporta la sua firma. È falsa, lui lo sa bene, ma non sa a chi chiedere aiuto. Così si ritrova a dormire su una panchina perché nell’alloggio per chi non «rispetta» le regole non c’è più posto. I gestori sono chiari: «O lavori e stai zitto o te ne devi andare». E Nabil non ha avuto scelta.
È uno spaccato di un Trentino che non ti aspetti quello tracciato dall’indagine «Giardino Orientale» della guardia di finanza della tenenza di Riva del Garda che ha scoperto dodici lavoratori pakistani impiegati nel ristorante di sushi della nota catena di ristorazione orientale, che si trova all’interno del centro commerciale «Blu garden», costretti a lavorare in condizioni degradanti e di sfruttamento. I gestori della società «Riva Sk srl», con sede legale a Firenze e sede amministrativa a Riva, che gestisce il ristorante in franchising del noto marchio «Sushiko» (il brand nazionale, va detto, è completamente estraneo alla vicenda), Feng Chen di 30 anni, alias Colfù, e Feng Wang di 35 anni, alias Yuri, sono stati arrestati su ordine del gip di Rovereto, Monica Izzo, per sfruttamento del lavoro ed estorsione. I due, che ora si trovano in carcere a Spini di Gardolo, rischiano pene sopra i dieci anni, oltre a sanzioni fino a 2.000 euro per ciascun lavoratore. Gli investigatori della guardia di finanza mercoledì matti- na si sono presentati a casa dei due imprenditori cinesi, entrambi residenti a Riva, con in mano un’ordinanza di custodia cautelare. Ma il ristorante non è stato chiuso, si continua a servire sushi e lo fanno i dodici lavoratori pakistani. La gestione, in attesa della pronuncia del giudice, che potrebbe decidere di nominare una sorta di commissario per la gestione del locale, è stato affidato al più anziano dei lavoratori pakistani. La priorità per gli inquirenti era quella di dare la possibilità ai dodici camerieri e cuochi di poter continuare a lavorare.
I dodici stranieri, tutti tra i 18 e i 30, regolari, hanno bisogno di avere uno stipendio per aiutare le loro famiglie in Pakistan e i due cinesi avrebbero approfittato proprio di questo per reclutare i lavoratori, sottopagati e costretti a orari di lavoro estenuanti, a pagare 100 euro al mese per il vitto (un pugno di farina per piadine e una modica quantità di pollo, uova e verdura una volta alla settimana) e altri 100 euro per l’alloggio. Vivevano tutti in un appartamento di circa 90 metri quadrati, regolarmente affittato da Feng Wang, dormendo su brandine o materassi appoggiati a terra, stipati in una sola stanza con a disposizione un fornello, un piccolo frigorifero e un solo bagno. Solo il gestore aveva una stanza riservata. Quando i finanzieri sono entrati nella casa si sono trovati di fronte ad uno scenario raccapricciante: i letti erano posizionati vicino ad ammassi di abiti, coperte e avanzi di cibo. L’indagine della Finanza è scattata alcuni mesi fa quando gli investigatori della Fiamme gialle, impegnati in controlli di routine, hanno notato che nel ristorante il personale era sempre lo stesso a tutte le ore del giorno. Insospettiti, hanno deciso di approfondire scoprendo così il presunto sistema di reclutamento, attraverso passaparola o contatti diretti, architettato dai due gestori. Formalmente i dipendenti erano assunti con un contratto regolare per 40 ore settimanali con riposi, vitto e alloggio, all’apparenza era tutto a posto, ma la realtà era ben diversa.
«Fatto grave. In questa vicenda si è superato il limite dell’umana dignità» commenta il segretario della Cgil del Trentino, Franco Ianeselli, che condanna duramente quando accaduto al gruppo di lavoratori pakistani. «Negli ultimi mesi le forze dell’ordine e gli organismi ispettivi dell’Inps hanno più volte evidenziato casi di pesante irregolarità. Tutti devono vigilare, non si può far finta che il fenomeno non esista o non ci riguardi da vicino».
I sindacati
La condanna della Cgil «Fatto grave Superato il limite dell’umana dignità»