I «DOVERI» DELL’UOMO
Un colloquio prebattesimale con una famiglia africana ospite in una canonica del decanato di Terlano mi ha non poco turbato. Chiedendo dove fosse nato il bambino, mi son sentito rispondere: «Non lo sappiamo: eravamo in fuga dal nostro Paese in guerra e non sappiamo dove ci trovavamo quando è venuto al mondo».
Un brivido mi ha percorso. Da noi abbiamo l’imbarazzo di scegliere se far nascere le nostre creature nell’uno o nell’altro ospedale, magari con un parto in acqua. Altrove si ha a malapena la possibilità di vedere la luce del sole. Ora poi i profughi cui è «garantita protezione», con i nuovi decreti del governo vengono messi sulla strada. E ciò comporta rischi per la loro e per la nostra serenità, nonché il licenziamento di numerosi nostri cittadini che operavano in tale settore: si calcola circa cento nella sola provincia di Bolzano.
In questo scenario poco confortante il prossimo 10 dicembre si celebrano i 70 anni dalla Dichiarazione universale dell’Onu sui diritti dell’uomo. Il testo nacque dalla volontà di superare i totalitarismi e gli orrori che il mondo ha conosciuto nel primo Novecento. Vi si premette che non è un decreto vincolante né una descrizione dello stato di fatto ma «un ideale da raggiungere insieme», per garantire la dignità di ogni persona e così la pace mondiale.
Il primo articolo già suona molto ottimistico: «Tutti gli uomini nascono liberi e uguali per dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e coscienza e devono incontrarsi in spirito di fratellanza». La dignità, che purtroppo non si vede, sarà pure uguale ma i diritti effettivi no. Da continente a continente e da paese a paese questi vengono o meno garantiti dalle rispettive legislazioni e dalla prassi sociale vigente. Forse possiamo affermare che nel Terzo Mondo sussiste ancora una cultura del dovere, mentre lo scenario euroamericano vede prevalere la coscienza dei diritti di cui ogni cittadino si sa portatore. Da noi un bambino può chiamare Telefono Azzurro per essere tutelato. In Africa, India o simili regioni, ha spesso solo il dovere di lavorare per contribuire alla sopravvivenza della famiglia.
Il testo dell’Onu non ha riscosso solo consenso. È stato accusato di difendere interessi cristiani e di ambito euroamericano. Esistono perciò alcune dichiarazioni islamiche, come quella del Cairo del 1991 o la Carta araba dei diritti dell’uomo redatta a Tunisi nel 2004, in cui non viene negata la possibilità di punizioni corporali, né affermata la piena uguaglianza tra uomo e donna o la libertà religiosa. In Estremo Oriente (ad esempio con la Dichiarazione di Bangkok del 1993) si parla invece dei «valori asiatici», tra i quali primeggerebbe l’obbedienza, virtù circa la quale sosteneva Hannah Arendt (come leggiamo sull’altorilievo mussoliniano in piazza del Tribunale a Bolzano): «Nessuno ha il diritto di obbedire».
Credo che di fronte alle emergenze umanitarie del nostro tempo, sia importante, come sosteneva già Simon Weil, che si arrivi a concepire una Dichiarazione universale dei doveri dell’uomo. A ogni persona incombe infatti l’impegno di vivere in modo costruttivo e non distruttivo, di essere veritiera e onesta, di rispettare e aiutare il prossimo, di curare e non rovinare l’ambiente, per lasciarlo il più possibile vivibile anche per le prossime generazioni. La coscienza di avere dei diritti deve essere bilanciata dalla consapevolezza dei doveri. Solo che mentre i diritti si insegnano anche a tavolino, che adempiere fino in fondo i propri doveri possa dare gioia e realizzazione può essere solamente testimoniato con la propria vita.
Filosofia A ogni persona incombe l’impegno di vivere in modo costruttivo