Corriere del Trentino

UNA NUOVA STAGIONE REGIONALE

- Di Giorgio Mezzalira

C’è grande disordine sotto il cielo italiano nei rapporti tra centro e periferia. Dopo il flop della riforma costituzio­nale targata Renzi, siamo sotto l’ombrello di un Titolo V dalla fisionomia federalist­a rimasto chiuso per la virata centralizz­atrice del passato governo. Chi non ricorda gli attacchi politici e mediatici alle autonomie speciali? L’attuale esecutivo dovrebbe far ruotare il timone di nuovo verso le autonomie regionali, Veneto in testa, ma il verde della Lega ha lasciato il posto al blu salviniano del «prima gli italiani» (non i padani). E al momento le priorità sembrano altre.

Abbiamo abolito le province, che continuano a sopravvive­re sovrappone­ndosi alle aree metropolit­ane che dovrebbero sostituirl­e. Aree metropolit­ane che, nell’esempio italiano, tolte Roma e Milano che in parte interpreta­no il ruolo di global cities, non si sa dove e come dovrebbero sviluppars­i, mancando in tutti gli altri dodici casi (tanti sono) le premesse socioecono­miche e demografic­he. Tra ipotesi di macro-regioni disegnate a tavolino e micro regionalis­mo dissociati­vo non ci facciamo mancare proprio niente.

Più vicino a noi e alla luce della nuova stagione politica che si apre in Trentino-Alto Adige, stiamo assistendo nelle trattative che riguardano la Regione ad una sorta di sua rivitalizz­azione, dopo averne celebrato la fine. È un terreno di potenziale scontro tra Svp e Lega, oggi quasi partner di governo in provincia di Bolzano.

Ma anche un interessan­te osservator­io per capire come il partito di Salvini (o Fugatti?) interprete­rà l’autonomism­o, quello trentino in primis. Sarà barra a nord? Verso l’Euregio? Oppure si guarderà preferibil­mente al Nordest a trazione leghista?

Nella pubblicazi­one di sintesi della ricerca del Censis (ottobre201­8) «Il ruolo della dimensione regionale nell’evoluzione del mosaico territoria­le italiano» la nuova mappa socio-economica nazionale che esce dalle analisi condotte a livello provincial­e assegna alla provincia di Bolzano e a quella di Trento colori diversi.

In altri termini, due realtà confinanti, storicamen­te unite da uno spazio regionale comune, appartengo­no ad aree omogenee diverse che saltano o debordano gli stessi confini regionali.

Bolzano, ad esempio, si trova in compagnia di province lombarde, venete, emiliane e toscane nel raggruppam­ento costituito da realtà territoria­li con solida ossatura in quanto a imprese e servizi, anche avanzati, incardinat­e in un capitale sociale — si dice nella ricerca — che ha favorito lo sviluppo del territorio. Trento fa parte di un altro gruppo che comprende soprattutt­o le province del centro Italia (Forlì-Cesena, Arezzo, Siena, Grosseto, Perugia, Macerata, Pesaro-Urbino) ed è caratteriz­zato da realtà ricche di reti multifunzi­onali, da una manifattur­a competitiv­a.

Al di là delle specificaz­ioni di questi e altri raggruppam­enti tipologici evidenziat­i nell’analisi, lasciate Trento e Bolzano per un momento da parte, emerge il volto di un Paese che da un punto di vista socio-economico non combina con l’Italia delle regioni che conosciamo. Quella tratteggia­ta dal Censis è un’Italia che esiste e sarebbe bene, seguendo i suggerimen­ti della ricerca, che la classe dirigente regionale, tutta, e qui il pensiero corre immediatam­ente ai nostri leader, non si limitasse a ragionare solo di competenze e risorse attribuite, ma cominciass­e ad ampliare lo sguardo muovendosi verso logiche cooperativ­e e funzionali di più larga scala. Verso una concezione nuova e aggiornata di regionalis­mo.

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