UNA SOCIETÀ IN CRISI DOVE TRIONFA L’ODIO
ben 55 anni fa, diceva nel suo più celebre discorso: «Io ho un sogno, che i miei quattro figli piccoli vivranno un giorno in una nazione nella quale non saranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per ciò che la loro persona contiene». Io invece ora ho paura che per i miei figli un domani non sarà cosi, paura che possa succedere loro qualcosa di grave semplicemente per il colore della pelle, paura di provare rimpianto per aver lasciato andare così le cose alla deriva e paura infine pure di dovere provare odio verso i possibili presunti colpevoli. Ma questo in fondo potrebbe essere soltanto un mio problema, mentre ce ne è uno più generale che ci riguarda tutti, la nostra città e la nostra comunità. Non entro nel merito dei due sopracitati fatti di cronaca, tutti i giornali ne hanno parlato ampiamente, ma se l’intento principale era quello di ottenere più reazioni e commenti, bravi ci siete riusciti. Troppo spazio forse, soprattutto perché alimenta una triste discussione che non fa che aumentare il divario tra le posizioni. Ma voi (giornalisti compresi) li avete letti i commenti agli articoli in questione, che vengono generati sui social? Fanno paura, quasi tutti incattiviti ad accusarsi a vicenda; forse è vero «la politica ci vuole divisi», ma anche noi ci mettiamo del nostro. Lo scopo è farci dividere ogni giorno in pro e contro qualcosa? Orsi, vaccini, punti nascita, Valdastico, Tav e soprattutto immigrazione? Ma provare invece a trovare soluzioni, senza insultarci, cercando di capire i diversi punti di vista della stessa realtà non sarebbe meglio? Per quanto riguarda l’immigrazione, forse vediamo due facce della stessa medaglia, magari più che ignoranza e pregiudizi, può essere semplicemente e più spesso l’esperienza diretta. Chi ha avuto a che fare con episodi positivi di integrazione sarà più favorevole, chi con episodi negativi è capibile che sia molto più critico. Dovremmo avere più reciproca comprensione, più umanità. Sono stati fatti tanti errori in passato e sottovalutato il problema, la sicurezza o la percezione di essa sono entrambe importanti. Giorni fa il sindaco Andreatta e il governatore Fugatti si sono incontrati per cercare soluzioni condivise (partendo dalla questione guardie giurate per Santa Maria Maggiore), sarebbe auspicabile che il dialogo continuasse in termini collaborativi. Ma ecco infine dopo tutte le premesse, la cosa che più mi sta a cuore, l’appello che indirizzo direttamente ai giornali locali (e di conseguenza anche a noi lettori): chi se la sente di dare uno spazio ( cartaceo, web, social) dove proporre tematiche, attorno alle quali raccogliere idee, anche opposte per migliorare il nostro capoluogo e dargli una scossa in questi diciotto mesi che ci separano dalle elezioni del nuovo sindaco?
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Caro Cappelletti,
ogni iniziativa che riguarda la crescita della città, intesa come muri ma anche come idee, troverà sempre albergo su queste pagine. Detto questo, la sua lettera mi è piaciuta perché ha colto il nodo della questione: una società che sta avanzando a «pane e odio». Tutto è estremizzato, tutto è ridotto all’insulto. Difficile dialogare. Eppure la diversità, di pelle ma anche di pensiero, dovrebbe essere un arricchimento non un pretesto per esaltare il rancore. Trento, la civile Trento, sta mostrando i primi sintomi di questa pericolosa malattia. Cambiare rotta dovrebbe essere compito della classe politica ma anche di noi cittadini. Complicato, vero. Ma almeno, proviamoci.
Appello Credo ancora nel sogno che aveva Luther King