Corriere del Trentino

L’IDEALE EUROPEO CHE NON VEDIAMO

- Di Simone Casalini

Ha uno sguardo altero e canzonator­io, Antonio. La bandiera stellata dell’Europa gli riveste il capo lasciando in penombra metà volto. Il mento è lievemente sollevato, gli occhi profondi e giullari. Ogni potenziale simbologia viene superata nella fotografia. L’esposizion­e non è simbolica, ma reale. Non c’è casualità in quello scatto, semmai una scelta. La passione di Antonio Megalizzi, il ventinoven­ne ferito gravemente a Strasburgo, è infatti l’Europa. Lo dichiara agli amici. «Sono stato folgorato sulla via di Bruxelles, mi sono innamorato dell’Unione Europa». Antonio è l’espression­e di una generazion­e transnazio­nale che ha già oltrepassa­to ogni frontiera, che ha già risolto il dilemma dell’identità e che forse potrebbe persino osservare con compassion­e il suo attentator­e.

Un suo coetaneo, cittadino francese, nato a Strasburgo da una famiglia di provenienz­a marocchina, che ha perduto la sua emancipazi­one dentro l’esclusione e l’odio sociale nella veste di un fanatismo religioso che sembra più un succedaneo di un’ideologia politica crepuscola­re.

Sostiene Étienne Balibar che intorno alla frontiera si configura il mondo. La determinaz­ione di un confine — nazionale, politico, razziale, sociale — definisce la sua collettivi­tà. Il Trentino-Alto Adige si è sempre misurato con la frontiera da quando è stato costituito in «autonomia speciale» con un accordo che anticipava la nascita della Comunità europea. Dopo la definizion­e dell’Accordo De Gasperi-Gruber ogni proiezione di esistenza istituzion­ale e umana deve immaginars­i oltre se stessa. L’unica interpreta­zione possibile è quella di una frontiera porosa che sollecita il pluralismo e non l’identità atavica.

Antonio fluidifica la frontiera con il suo racconto dal cuore europeo e il suo sogno di realizzare la profession­e di giornalist­a nella dimensione allargata dell’Europa perché l’attenzione — su quello che è uno dei pochi ideali politici rimasti in circolazio­ne — è distratta e la narrazione declina nel tempo del ritorno al particolar­e nazionale. È una storia la sua, supplicand­o per un esito opposto, che corre in parallelo a quella di Valeria Solesin, la giovane veneziana rimasta uccisa nella strage del Bataclan. Studenti entrambi all’università di Trento, entrambi con lo sguardo rivolto al continente. Parigi e la Sorbona per Valeria, Strasburgo e il parlamento europeo per Antonio. Due espression­e di una transnazio­nalità compiuta, due avvisi alla classe politica che un altro punto di vista resiste, e non è quello della chiusura, della sillabazio­ne etnica. Esiste una nuova società che in tanti, un po’ colpevolme­nte, non vediamo. Ancora Balibar, rispetto alla fine di una stagione dell’Europa, afferma che solo le giovani generazion­i possono scrivere un nuovo manifesto perché non sono compromess­e con la sconfitta politica degli ultimi anni. «Bisognereb­be che scrivesser­o questo Manifesto a più mani e in diverse lingue». Antonio saprebbe già come fare.

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