«Ciao Antonio, ci hai insegnato ad abbattere i muri e a dialogare»
Il vescovo Tisi: «Il suo sorriso ha varcato confini impensati e toccato tanti cuori»
TRENTO «Ciao Antonio, Dio ti restituisca quel sorriso che ti aveva donato, che a tua volta hai regalato a mamma Annamaria, a papà Domenico, a tua sorella Federica e a Luana. Quel sorriso, che ha saputo toccare tanti cuori e varcare confini impensati, è stato motore di relazioni e testimonianza della bellezza della vita. Dio te lo restituisca, Antonio, quel tuo sorriso contagioso! E ti lasci tornare a sognare. Fallo anche per noi». Queste le parole del vescovo, Lauro Tisi, alla notizia della morte di Antonio Megalizzi, avvenuta ieri pomeriggio.
Ma il vescovo va anche oltre e guarda al futuro, all’insegnamento di Antonio. Un insegnamento che abbatte muri e costruisce ponti, sia tra i paesi europei che tra le comunità che li abitano. «Antonio ci dice: riscoprite il dialogo e la collaborazione,
Ogni tipo di violenza è figlia dell’intolleranza, collaboriamo
perché questi sono i primi deterrenti alla violenza» afferma Tisi. La tragica vicenda del giovane radiogiornalista per il responsabile della diocesi tridentina si carica di un significato ulteriore. «Avevo già espresso e ribadisco la mia vicinanza alla famiglia per questo dramma che ancora un volta mostra quanto la violenza possa entrare nelle case di ognuno e fare dei danni terribili». La riflessione si sposta poi sul significato che l’episodio può generare a livello collettivo. Lungi dal suggerire divisioni, contrapposizioni e chiusure, il vescovo Tisi indica al contrario lo stesso Antonio come simbolo di una società che dovrebbe utilizzare il dialogo, e non il rifiuto, come mezzo di risoluzione dei conflitti. «Antonio era un giornalista che amava moltissimo l’Europa. Seguire il suo pensiero potrebbe essere l’occasione per ritrovare le vie del dialogo, per ritrovare il sogno europeo e trovare quella via della collaborazione tra popoli e culture di cui oggi abbiamo estremo bisogno». Tisi fa suo il sogno di Antonio Megalizzi di costruire e raccontare una politica europea sempre più aperta e cooperativa. «Ogni tipo di violenza è figlia dell’intolleranza e dei muri. Proprio in questo momento in cui si continuano a costruire barriere, la vicenda di Antonio è una provocazione ad abbatterle. Ci esorta al dialogo e alla collaborazione come deterrenti alla violenza». Ma le prime reazioni pubbliche sembrano andare in un’altra direzione. Tra i primi a esprimersi è Corrado Ravagnani, papà di Andrea Ravagnani, compagno di quella Valeria Solesin morta il 13 novembre 2015 al Bataclan. Dalle pagine del Corriere del Trentino di ieri Ravagnani padre auspica «una soluzione drastica e definitiva». Ancora profondamente turbato dal ricordo della strage parigina e preoccupato per il figlio Andrea, sopravvissuto ma testimone del massacro e ancora in cura da uno specialista per riprendersi dal trauma, Corrado Ravagnani non usa parole leggere: «Il terrorismo islamico va fermato e vanno fermati gli arrivi. Non sono un elettore di Salvini, questo governo però mi dà un po’ più di fiducia, per la stretta che vuole dare ad alcune situazioni». Una riflessione che il vescovo Tisi attribuisce al dramma che ha toccato Ravagnani e che si rifiuta di commentare: «Non mi esprimo perché il dolore va sempre rispettato».
Le parole di Corrado Ravagnani? Non dico nulla. Il dolore va rispettato