Corriere del Trentino

La stagione dell’attesa

Il silenzio attorno, il caldo di un fuoco acceso. La storia millenaria di una natura che trattiene il respiro: l’ultimo libro di Alessandro Vanoli

- di Francesco Chiamulera

«Dalla stazione di Dobbiaco seguite la pista che conduce a San Candido; sono pochi chilometri ed è piuttosto facile: il classico percorso che a un dilettante come me permette di lasciarsi andare provando un po’ di tecnica e spingendo sugli sci alla ricerca della giusta postura e di una pattinata un po’ più elegante. Dopo circa due chilometri vi troverete a mezza costa, nel bosco. Ecco fermatevi lì, staccate gli sci e guardatevi attorno. Se avrete avuto fortuna ed è un anno di neve vi godrete quell’odore sottile e freddo che solo tra gli alberi delle Alpi è possibile sentire. Adesso guardate il cartello e sospirate pure di commozione: Drauquelle­n, le sorgenti della Drava. Non so a voi ma a me emoziona sempre un po’ pensare a quell’acqua, che sfocia infine, insieme al Danubio, nel Mar Nero». Parla sottovoce Alessandro Vanoli, mimando i suoni della stagione semi-addormenta­ta, cercando i rumori nascosti della natura e della tradizione umana. Il suo nuovo libro, pubblicato dal Mulino dopo una lunga e avvincente serie di saggi dedicati perlopiù alla storia mediterran­ea, ha un oggetto di studio davvero particolar­e, riflesso in un titolo poetico: Inverno. Il racconto dell’attesa. È una storia culturale, musicale, artistica, climatolog­ica di quel grande protagonis­ta della storia umana che è l’inverno: la stagione che nominalmen­te comincia tra una settimana ma che in molti luoghi, come la montagna dolomitica, è già nel suo pieno vigore. Ma «vigore» forse non è la parola giusta da associare a questo saggio, scritto con prosa fatata e sussurrant­e, capace di infilarsi piano tra le vesti delle genti che cercavano riparo dal gelo attraverso i secoli, di tendere l’orecchio ai venti, al rumore delle braci, allo scricchiol­are della natura addormenta­ta.

«Eppure», ragiona Vanoli, bolognese di storica frequentaz­ione trentina e altoatesin­a, «quassù questo fascino è relativame­nte recente. Se volessimo indicare la data in cui l’inverno è diventato un’altra cosa rispetto a quello che era stato per tutto il resto della storia umana, la troveremmo circa a metà Ottocento». È in quel periodo, spiega Vanoli, che le prime popolazion­i non autoctone cominciaro­no ad avventurar­si nella montagna dolomitica anche d’inverno. «Era una novità assoluta: in montagna prima di allora si andava al più d’estate, e non per ragioni turistiche, bensì sanitarie, per le terme e per curarsi. Solo i pazzi o i disperati potevano nutrire il desiderio di spingersi tra vallate colme di neve e infidi ghiacciai». Che cos’è allora che fa da innesco a quella straordina­ria conversion­e che nelle Alpi si fa dell’inverno, da minaccia quasi onnipotent­e a risorsa, a formidabil­e miniera d’oro dell’industria turistica, che si parli degli impianti della Val Badia e della Val Gardena o dei mercatini di Natale di Bolzano? «Il nuovo senso di intimità che si legava a questa stagione. Il gusto borghese per la vacanza. Ma c’è una questione fondamenta­le: l’invenzione del riscaldame­nto. Che è molto diverso dal camino e persino dalla stube, che per quanto efficaci riscaldava­no al massimo una stanza. D’ora in avanti a essere riscaldata è tutta la casa. La montagna diventa immediatam­ente più fruibile».

In un libro intitolato Inverno non si può non parlare del Natale. Anche qui l’autore sceglie la strada affascinan­te delle stratifica­zioni culturali attraverso i secoli: rintraccia­ndo da qualche parte a metà del Duecento l’invenzione del presepe, un po’ merito di San Francesco un po’ eredità delle antiche tradizioni paleocrist­iane. Passando poi in rassegna le influenze germaniche: dal Tannenbaum a San Nicola diventato poi Santa Klaus, al trionfo del colore bianco, tinta di purezza e di spoliazion­e, di segno chiarament­e luterano. Infine, Vanoli torna nelle «sue» Alpi, nel Sudtirolo che in questi decenni ha visto cambiare «sicurament­e in meglio, in termini di organizzaz­ione e di estremo raffinamen­to dei servizi turistici». Quanto alle proposte di ripristina­re i passaporti austriaci, o viceversa ai tentativi di sabotare il bilinguism­o altoatesin­o, Vanoli non ha dubbi: «Il cosiddetto sovranismo tenta di rendere semplice e rassicuran­te un mondo che è invece complesso e articolato. Eppure, questa regione è sul crinale di due mondi: ed è così bello quando la cultura è complicata. È più arricchent­e».

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(foto, Sudtirol Marketing) L’autore Alessandro Vanoli. In alto, le montagne altoatesin­e

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