La stagione dell’attesa
Il silenzio attorno, il caldo di un fuoco acceso. La storia millenaria di una natura che trattiene il respiro: l’ultimo libro di Alessandro Vanoli
«Dalla stazione di Dobbiaco seguite la pista che conduce a San Candido; sono pochi chilometri ed è piuttosto facile: il classico percorso che a un dilettante come me permette di lasciarsi andare provando un po’ di tecnica e spingendo sugli sci alla ricerca della giusta postura e di una pattinata un po’ più elegante. Dopo circa due chilometri vi troverete a mezza costa, nel bosco. Ecco fermatevi lì, staccate gli sci e guardatevi attorno. Se avrete avuto fortuna ed è un anno di neve vi godrete quell’odore sottile e freddo che solo tra gli alberi delle Alpi è possibile sentire. Adesso guardate il cartello e sospirate pure di commozione: Drauquellen, le sorgenti della Drava. Non so a voi ma a me emoziona sempre un po’ pensare a quell’acqua, che sfocia infine, insieme al Danubio, nel Mar Nero». Parla sottovoce Alessandro Vanoli, mimando i suoni della stagione semi-addormentata, cercando i rumori nascosti della natura e della tradizione umana. Il suo nuovo libro, pubblicato dal Mulino dopo una lunga e avvincente serie di saggi dedicati perlopiù alla storia mediterranea, ha un oggetto di studio davvero particolare, riflesso in un titolo poetico: Inverno. Il racconto dell’attesa. È una storia culturale, musicale, artistica, climatologica di quel grande protagonista della storia umana che è l’inverno: la stagione che nominalmente comincia tra una settimana ma che in molti luoghi, come la montagna dolomitica, è già nel suo pieno vigore. Ma «vigore» forse non è la parola giusta da associare a questo saggio, scritto con prosa fatata e sussurrante, capace di infilarsi piano tra le vesti delle genti che cercavano riparo dal gelo attraverso i secoli, di tendere l’orecchio ai venti, al rumore delle braci, allo scricchiolare della natura addormentata.
«Eppure», ragiona Vanoli, bolognese di storica frequentazione trentina e altoatesina, «quassù questo fascino è relativamente recente. Se volessimo indicare la data in cui l’inverno è diventato un’altra cosa rispetto a quello che era stato per tutto il resto della storia umana, la troveremmo circa a metà Ottocento». È in quel periodo, spiega Vanoli, che le prime popolazioni non autoctone cominciarono ad avventurarsi nella montagna dolomitica anche d’inverno. «Era una novità assoluta: in montagna prima di allora si andava al più d’estate, e non per ragioni turistiche, bensì sanitarie, per le terme e per curarsi. Solo i pazzi o i disperati potevano nutrire il desiderio di spingersi tra vallate colme di neve e infidi ghiacciai». Che cos’è allora che fa da innesco a quella straordinaria conversione che nelle Alpi si fa dell’inverno, da minaccia quasi onnipotente a risorsa, a formidabile miniera d’oro dell’industria turistica, che si parli degli impianti della Val Badia e della Val Gardena o dei mercatini di Natale di Bolzano? «Il nuovo senso di intimità che si legava a questa stagione. Il gusto borghese per la vacanza. Ma c’è una questione fondamentale: l’invenzione del riscaldamento. Che è molto diverso dal camino e persino dalla stube, che per quanto efficaci riscaldavano al massimo una stanza. D’ora in avanti a essere riscaldata è tutta la casa. La montagna diventa immediatamente più fruibile».
In un libro intitolato Inverno non si può non parlare del Natale. Anche qui l’autore sceglie la strada affascinante delle stratificazioni culturali attraverso i secoli: rintracciando da qualche parte a metà del Duecento l’invenzione del presepe, un po’ merito di San Francesco un po’ eredità delle antiche tradizioni paleocristiane. Passando poi in rassegna le influenze germaniche: dal Tannenbaum a San Nicola diventato poi Santa Klaus, al trionfo del colore bianco, tinta di purezza e di spoliazione, di segno chiaramente luterano. Infine, Vanoli torna nelle «sue» Alpi, nel Sudtirolo che in questi decenni ha visto cambiare «sicuramente in meglio, in termini di organizzazione e di estremo raffinamento dei servizi turistici». Quanto alle proposte di ripristinare i passaporti austriaci, o viceversa ai tentativi di sabotare il bilinguismo altoatesino, Vanoli non ha dubbi: «Il cosiddetto sovranismo tenta di rendere semplice e rassicurante un mondo che è invece complesso e articolato. Eppure, questa regione è sul crinale di due mondi: ed è così bello quando la cultura è complicata. È più arricchente».