Adige100 Alto anni
Una convivenza e una coesistenza pacifica di due separati in casa, ma reciprocamente incompresi. Un ritratto destinato a far discutere, quello della relazione tra altoatesini di lingua italiana e sudtirolesi di lingua tedesca raccontata, attraverso saggi tematici a narrazione corale, nel libro che l’associazione culturale La Fabbrica del Tempo presenta, domani sera alle 20, nella sala del caminetto dell’hotel Laurin, a Bolzano.
Il titolo, 18/18 - Alto Adige/Südtirol 1918-2018, è la sintesi grafica ed estetica di una frammentazione linguistica e culturale che, sopra Salorno, è una realtà tanto percepita quanto negata. Ma Tiziano Rosani, presidente dell’associazione e curatore del volume assieme al giornalista Patrick Rina e alla docente unversitaria Ulrike Kindl, non ha remore a squarciare il velo dell’ipocrisia che, spesso, porta a ignorare una realtà di fatto.
«Questo libro narra cosa è accaduto, cosa non è accaduto e cosa sarebbe potuto accadere dalla fine della Prima Guerra mondiale a oggi, nel tentativo di sottrarre la ricorrenza del centenario alle retoriche, alla celebrazione e al lutto spiega Rosani con onestà intellettuale -. Un elemento centrale è quello delle “chance mancate”: questi cento anni hanno determinato situazioni di per sé positive, ma moltissimo si poteva risolvere prima e si potrebbe risolvere ancora. Una buona parte di questi cento anni li abbiamo sprecati. Si poteva capire prima il punto di vista reciproco, da una parte e dall’altra. Non va tutto bene, gli aspetti critici sono molti e tracciano solchi profondi. Sul fronte della comunicazione tra gruppi linguistici, ad esempio, i punti di vista sono rimasti distanti, il rapporto tra i sudtirolesi e lo Stato italiano non è minimamente risolto e, viceversa, lo Stato italiano non sempre ha compreso e ancora oggi non comprende adeguatamente i sentimenti sudtirolesi». Ovviamente nel libro ci sono anche aspetti molto positivi. «C’è un crescere insieme che 30 o 40 anni fa sarebbe stato impensabile». 18/18 - Alto Adige/Südtirol
1918-2018 è un’operazione «a microfono aperto in cui persone differenti con punti di vista differenti hanno detto la loro anche sugli aspetti più curiosi», svela il presidente della Fabbrica del Tempo.
Dal cibo alla letteratura, dalla lingua alla toponomastica, tutto della vita quotidiana è stato influenzato e permeato dalla cultura dell’altro. Ogni capitolo è curato da un nome illustre, solo per citarne alcuni: dal vescovo di Bolzano Ivo Muser all’archistar Matteo Thun, dal giornalista e scrittore Paolo Rumiz al critico letterario e musicale Ferruccio Delle Cave fino al politologo Günther Pallaver.
Ancora oggi, che lo si chiami Alto Adige o Sudtirolo, questa terra di confine si presenta come una miscellanea di culture, tradizioni, storie e lingue su cui l’immaginario popolare ha elaborato stereotipi caricaturali per prendere le distanze, con ironia, da un tema ancora spinoso, storicamente e politicamente.
Rosani ammette: «Non è stato un libro semplice. Ci sono saggi e riflessioni che personalmente posso anche non condividere, ma era urgente e necessario che tutti dicessero quello che pensano. Un’operazione che per anni non solo noi, ma anche altri non hanno fatto e forse potevano farlo. Nel corso della stesura sono emerse cose che gli uni davano per scontato rispetto agli altri e viceversa. Ci sono state delle sottovalutazioni complessive e questo fa sì che il tema della Grande Guerra in provincia non sia quasi trattato. Forse perché è una ferita ancora aperta, o si ha paura ad affrontarla, o si cercano strade differenti. Ma è uno snodo essenziale per questa terra che si è trovata ad appartenere al Regno d’Italia in una situazione inedita, totalmente inaspettata, non voluta e non richiesta». Una rivoluzione storica e l’inizio di tutte le incomprensioni. «Penso che la popolazione italiana sottovaluti lo choc del passaggio all’Italia e dei 20 anni di dittatura fascista - conclude il curatore -. Una repressione politica, linguistica e culturale che ha determinato nella popolazione locale un sentimento di avversione e smarrimento alla cui si è reagito con una chiusura estrema, forse esagerata, che in parte sussiste tuttora. Si pensa che l’autonomia e la creazione di una Provincia molto forte abbiano risolto gran parte dei problemi, ma non è sempre così: la parte italiana della popolazione lamenta che questo abbia determinato situazioni in cui qualcuno è di “serie a” e qualcuno di “serie b”. Anche in questo ci sono delle ragioni e va detto».
Così, tra sentimenti di emarginazione reciproca, a un secolo dalla fine del primo conflitto mondiale si sta ancora cercando di capire i meccanismi che possono ostacolare la creazione di questa «piccola Europa» nel territorio italiano a sud del Brennero, per poterli superare e fare sì che ciascuno possa finalmente trovarsi a suo agio a casa sua».
È la narrazione di cos’è accaduto. Cento anni di chance mancate, incomprensioni, paure, smarrimento e chiusure tra altoatesini e sudtirolesi. Ma anche creatività