TRA VIAGGIO E TEMPO INTRECCI CON L’ISLAM
Nel saggio «L’invenzione del nemico» (Sellerio, 2006) il medievista Franco Cardini scrive: «Come storico e come cittadino del XXI secolo mi rendo conto che senza Oriente noialtri “occidentali” non possiamo né vivere né definire noi stessi». Un frase simbolo per chi come l’islamologo e orientalista Massimo Campanini, già docente all’università di Trento e editorialista del Corriere del Trentino, conduce da anni una battaglia accademica e culturale contro un pregiudizio che disconosce il secolare legame commerciale, sociale e culturale tra Islam e Occidente, universi erroneamente dipinti come distanti ma originati dalla medesima radice abramitica.
Nella sua ultima fatica, «I giorni di Dio. Il viaggio e il tempo tra Occidente e Islam» (Mimesis, 2019), Campanini intende ancora una volta dimostrare «lo stretto intersecarsi della civiltà cosiddetta “occidentale” e di quella islamica e di conseguenza la contiguità dell’Islam, seppure originale e diversificata, con la tradizione di pensiero occidentale». Sono il viaggio e il tempo le chiavi di lettura utilizzate a tale scopo: «È facile notare — scrive Campanini — come la civiltà euro-mediterni ranea si formi e sorregga su una serie di miti comuni. Si pensi soltanto alla storia della regina di Saba, trasversalmente presente nella Bibbia e nel Corano».
Il tema del viaggio viene sviluppato nel libro dapprima accomunando Odisseo, l’archetipo del viaggiatore nella letteratura occidentale, con il suo omologo islamico, Sindibàd. Ai loro viaggi mitici segue quello ultraterreno di Dante nella «Commedia», che Campanini mette a confronto con quello narrato dal poeta-filosofo indo-musulmano Muhammad Iqbal (1873-1938) nel poema «Javid-nama», in cui troviamo niente meno che Friedrich Nietzsche. Campani- rilegge quindi i concetti di viaggio e tempo nel pensiero di Iqbal «sulle orme di Dante e Nietzsche», avendo però prima sottolineato le analogie con il racconto del miracoloso viaggio notturno compiuto dal profeta Muhammad fino al Trono di Dio: «Non possiamo dimostrare apoditticamente che Dante conoscesse tale testo — afferma Campanini — ma i parallelismi con la “Commedia” sono numerosi ed evidenti».
Nelle conclusioni Campanini muove un’accusa alle tre grandi religioni monoteiste, ossia quella di «aver declinato l’idea di Dio in modo da costringerla a coincidere, più o meno surrettiziamente, con la realtà umana», disattendendo così alla loro missione. Come? L’Ebraismo esaltando l’eccellenza e l’esclusività di un popolo eletto, il Cristianesimo deificando Gesù e l’Islam affidandosi a un’utopia retrospettiva, rivolgendo il proprio sguardo al «passato indefettibile del trionfo del Profeta Muhammad». Tutte azioni che hanno distrutto la prospettiva di una teologia della storia: «L’aver abbandonato i giorni di Dio è un sintomo del tramonto dell’Occidente — osserva Campanini — e di conseguenza dell’Islam».
Con «I giorni di Dio» Campanini aggiunge il secondo capitolo a una tetralogia iniziata con «L’Islam, religione del- l’Occidente» (Mimesis, 2016) e che si completerà ulteriormente nel 2020 con il penultimo capitolo, «in cui l’Islam — anticipa Campanini — si intreccerà con Hegel e Manzoni». Campanini rivela di aver anche pensato a un libro dedicato alla rivoluzione khomeinista in Iran, di cui ricorre in questi giorni il quarantennale, ma senza trovare sostegno: «Di questo anniversario si parlerà il meno possibile — afferma amaramente Campanini — data la conventio ad tacendum in atto: l’Islam ormai è un non-argomento, a meno che non si tratti di associarlo ad attentati terroristici o a espressioni fondamentaliste».
I temi
Lo studioso riflette su Dante, Iqbal e il Corano