Corriere del Trentino

Il papà di Matteo «Maledetta moto non meritavamo questo castigo»

Fabio Riolfatti racconta il figlio: lo mandai in fabbrica e si è laureato con lode

- Di Annalia Dongilli

Fabio Riolfatti non si dà pace: «Gli avevo detto mille volte di vendere la moto» ricorda. Ma quella di suo figlio Matteo per le due ruote era una passione non negoziabil­e: un amore che però venerdì gli è costato la vita.

«Era qui, ieri mattina, all’una. Abbiamo pranzato insieme, poi ha scattato una foto alle frecce tricolori e ha preso la moto per farsi un giro sul Garda. Quella maledetta moto, gliel’ho detto di venderla mille volte». Gli occhi azzurri di papà Fabio sono velati e si appoggiano lì, in mezzo al piazzale del condominio di via Canova 27, da dove ieri è partito Matteo Riolfatti, 42 anni appena compiuti. Se potesse papà lo fermerebbe adesso, non lo lascerebbe partire per quella gita che è finita venerdì con uno schianto mortale contro un’auto a Nomi.

«È una disperazio­ne — racconta scuotendo la testa — un castigo che non ci meritavamo. Matteo e Marco (il fratello più giovane, ndr) erano cresciuti così bene, bravi, belli, lontani dalle droghe e dalle cattive compagnie e poi .... ». Lo sguardo indugia ancora lì, in quel cortile su cui si affacciano i condomini della via, dove Matteo giocava con gli amici a calcio e partiva per le scorriband­e in bicicletta.

E poi l’incidente. I carabinier­i della compagnia di Rovereto stanno cercando di ricostruir­e l’esatta dinamica: la Ford Fiesta con a bordo i due giovani di 19 e 15 anni di Besenello che saliva da sud all’altezza del semaforo aveva iniziato la svolta a sinistra. Riolfatti scendeva e l’impatto è stato fortissimo, l’auto è stata pure avvolta dalle fiamme. I militari stanno vagliando anche un video per cercare di stabilire come siano andate esattament­e le cose.

Papà Fabio cerca di farsi un’idea: «Per me ha visto il semaforo arancione e ha accelerato per passare. Ma le moto sono così, basta un secondo. Glielo avevamo detto io e Marilisa (mamma Maria, che però tutti chiamano così, ndr), vendila quella moto che ci fai tutti felici. Anche quest’estate, ogni volta che vedevo un incidente mortale in moto provavo un brivido».

Per Matteo però le due ruote, la sua Bmw Gs 1.200, erano una passione non negoziabil­e. Certo amava anche il calcio, era un tifoso juventino e da ragazzo aveva anche giocato nel Gardolo. Le due ruote però «erano tutto per lui — continua il papà — ma le moto sono macchine di morti» non si dà pace il signor Riolfatti. Ma cosa poteva fare di più un papà? Nulla, anzi, ha fatto ciò che ogni genitore è chiamato a fare: donare al mondo un figlio felice, che aveva passioni, anche se queste a volte costano notti insonni a mamme e papà. «Aveva tutto, una bella casa, un bel lavoro, gli amici». Un lavoro, quello alla Volksbank che gli aveva dato tante soddisfazi­oni e a cui era arrivato dopo un percorso di studi brillante. Sporcandos­i le mani, anche: «Quando finì la terza liceo mia moglie ed io andammo a scuola a leggere i voti. Aveva 7 in tutte le materie». Bene no? «Eh anche mia moglie disse così invece no — sorride nostalgico Fabio — Significa che aveva cercato di regolarsi; normale sarebbe stato se avesse avuto dei 6 e degli 8. Ma così significav­a che poteva fare di più: quell’estate si svegliava sempre a mezzogiorn­o e la sera tornava tardi e allora l’anno successivo l’ho mandato in fabbrica, all’ex Clevite, la Mahle, dove lavoravo io. Lui e altri sui 2-3 amici. Beh, sa una cosa — rivela orgoglioso — si sono laureati tutti quattro loro. Hanno capito cos’è la fatica, hanno fatto i turni, hanno appreso il vero senso del lavoro». Insomma una lezione di cui Matteo ha fatto tesoro e che di certo gli sarà servita nella sua carriera.

I funerali dell’uomo si terranno martedì alle 14.30 nella chiesa di Canova. Anche se il giovane oggi viveva a Tavernaro da solo, a Canova era cresciuto e lì vivono i genitori.

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Appassiona­to Matteo Riolfatti con l’amata moto e durante un’escursione in montagna

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