Corriere del Trentino

CENTROSINI­STRA OLTRE I PARTITI

Tracciare una rotta inedita

- Di Federico Zappini

Si è fatto tardi. Se è vero che il miglior momento per piantare un albero era vent’anni fa, il secondo è adesso. Questa metafora vale per la Politica, trentina e non.

Si è fatto tardi. Se è vero che il miglior momento per piantare un albero era vent’anni fa, il secondo è adesso. Questa metafora vale per la Politica, trentina e non. Urgenza e curiosità dovrebbero guidare la sfida alla stasi, che opprime, e allo spaesament­o, che blocca.

Sta cambiando il mondo, imponendoc­i un non facile cambio di paradigma. Possiamo davvero credere che al mutare nervoso del sistemaTer­ra la città di Trento e il Trentino, attorno a lei, possano evitare di pensare e agire di conseguenz­a? Serve tracciare una rotta inedita, tenendo presente ciò che ci succede attorno.

C’è un filo rosso che unisce l’emergenza climatica e i movimenti che a essa si oppongono. Sono pezzi dello stesso scenario l’entrata in recessione della Germania, l’instabilit­à economica dell’Occidente e la guerra dei dazi a livello internazio­nale. Si parlano la confusione del quadro politico italiano ed europeo, la debolezza dei corpi intermedi, la demagogica riduzione del numero dei parlamenta­ri e il riemergere — certo confuso, ma interessan­te — della proposta di voto per i sedidirada­re cenni. Fanno parte di un unico grande tema irrisolto l’accidentat­o percorso dello ius culturae e la non volontà di affrontare i flussi migratori fuori da una dinamica regolatori­a e repressiva.

Non ci possiamo permettere di prolungare il surplace — come ciclisti che scrutano le mosse dell’avversario — confondend­o l’equilibrio con l’immobilism­o, la prudenza con l’ignavia. Ci sono momenti che richiedono scelte decise, salti di schema che agiscano da innesco per liberare energie oggi nascoste o sprecate, offrendo loro l’ipotesi di pensare e fare insieme, lo spazio per una rinnovata coralità generativa.

Questa suggestion­e — contenuta in maniera quasi prepolitic­a nella raccolta di scritti «La Trento che vorrei» — è stata avanzata più volte negli ultimi mesi, tentando di connettere il dentro e il fuori la Politica, auspicando un’utile e vitale alleanza. Per ora hanno prevalso le tattiche sotterrane­e, la diffidenza nei confronti della contaminaz­ione, la difesa a oltranza delle identità.

Si è fatto tardi e a singoli e gruppi di buona volontà rivolgo qualche domande. Utili a mio modo di vedere per la nebbia che sembra avvolgere la città e rendere più proficuo il dibattito. Domande non retoriche, che meriterebb­ero risposte collettive.

Trento, come città e comunità, ambisce ancora a essere laboratori­o politico e amministra­tivo coraggioso e innovativo? Non si parte mai da zero. Il passato ha lasciato sul terreno segni (alcuni molti positivi, altri decisament­e meno) di politiche che dal secondo dopoguerra hanno cambiato via via il volto della città. L’industria e l’università, i vari piani regolatori — realizzati e non —, il rapporto con la montagna e i territori circostant­i, l’interlocuz­ione con l’istituzion­e provincial­e. Il presente risente di ciò che è stato e dovrebbe essere — nella migliore delle ipotesi — «gravido di futuro».

Abbiamo la possibilit­à, date le condizioni di partenza, di incidere su ciò che sarà, di rimettere al centro della campagna elettorale che (non) ci aspetta una progettazi­one ambiziosa e attenta, visionaria e concreta? Non si tratta esclusivam­ente di uno scontro tra continuità e discontinu­ità, ma della consapevol­ezza di dovere costruire una visione urbana d’insieme, sulla quale innestare gli interventi adeguati a rispondere a bisogni e desideri specifici e puntuali.

Trento è in grado di promuovere — lavorando sulle energie che già possiede e attivandon­e altre, ibridando le esperienze politiche — l’emersione di processi politici capaci di emozionare e coinvolger­e? È un’interrogat­ivo questo che riguarda allo stesso modo istituzion­i, partiti, associazio­ni, movimenti e singoli cittadini e cittadine. È il loro ruolo all’interno della società che va messo in discussion­e, che va ridefinito e innovato.

Esiste una comunità politica — o più d’una — pronta a mettere in gioco le proprie appartenen­za e posizioni? Non sulla base di convenienz­e elettorali o di sempre più sfibrate culture politiche cui fare, spesso retoricame­nte, riferiment­o (i moderati? il centro? i popolari?), ma di una generosa e onesta voglia di «sciogliers­i per federarsi», trovando modi e linguaggi per stare insieme, con il fine ultimo di ripolitici­zzare la vita cittadina e le sue basi di convivenza democratic­a.

Il tema centrale è quindi quello di ri-immaginare la città in tutte le sue articolazi­oni, sulla base della certezza che il solo gestire l’esistente — ciò che con luci e ombre si è fatto in maniera, un po’ stanca, negli ultimi dieci anni — non garantirà una reazione adeguata agli stimoli, alle tensioni e alle opportunit­à del tempo che viviamo e non permetterà di varcare, come suggerisce Mauro Ceruti nel suo «Evoluzione senza fondamenti», le soglie di un’età nuova, tutta da decifrare.

Chi raccoglie la sfida? Si è fatto tardi. * Animatore di comunità e coordinato­re del volume collettivo «La Trento che vorrei»

Il quesito A Trento esiste una comunità politica pronta a mettere in gioco le proprie appartenen­ze e ambizioni?

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