Caccia, ucciso per errore: danni milionari
Causa al cacciatore, archiviato il compagno. La lettera dei familiari
Chiede oltre un milione di euro di danni la famiglia di Michele Penasa, l’ex guardia caccia di 70 anni ucciso per errore dall’amico Luigi Darin D’Iseppo durante una battuta di caccia l’11 settembre 2018. I familiari hanno fatto causa al cacciatore e in una lettera sfogano la rabbia e il loro dolore.
TRENTO Il dolore dei familiari è palpabile. Niente e nessuno potrà far tornare in vita il loro Michele, nessuna cifra potrà risarcirli da una perdita così grande, è difficile anche solo immaginare il dolore, ma anche la rabbia.
Chiede giustizia la famiglia di Michele Penasa, l’ex guardia caccia di Pinzolo e Darè, 70 anni, ucciso per errore dall’amico Luigi Darin D’Iseppo durante una battuta di caccia l’11 settembre del 2018, e lo fa attraverso le vie giudiziarie e anche con un lettera nella quale solleva dubbi sulle indagini definite «affrettate e superficiali». La moglie Viviana e i figli Stefano, Giovanni e Fabiano, attraverso i loro avvocati Mattia Gottardi, Stefano Pietro Galli e Paolo Mazzon, hanno intentato una causa civile contro il cacciatore di Vigo Rendena, difeso dall’avvocato Mauro Bondi, che ad aprile 2018 ha patteggiato un anno per omicidio colposo. Ora i familiari chiedono oltre un milione di danni, la cifra comprende il danno da morte (che ingloba anche quello che un tempo veniva definito danno morale) e i danni patrimoniali. La prima udienza davanti al giudice Massimo Morandini è fissata mercoledì 23 ottobre. Nel frattempo il giudice Enrico Borrelli ha sciolto la riserva sulla posizione dell’altro cacciatore che quel terribile giorno era con Penasa e Darin. Il pm Marco Gallina aveva chiesto l’archiviazione delle accuse a carico dell’uomo, ma la famiglia si era opposta. Il giudice si era riservato, ma alla fine ha deciso di archiviare il fascicolo. Secondo la Procura non c’erano prove sulla responsabilità dell’uomo. Quel giorno, era un lunedì, Darin, Penasa e l’amico erano partiti al mattino presto in cerca di ungulati. Dopo una mattinata infruttuosa, però, i tre cacciatori avevano deciso di proseguire durante il pomeriggio. Erano saliti fino a Malga Calvera, sopra Vigo Rendena, in macchina ma su auto diverse. Arrivati a destinazione si erano divisi: Penasa era sceso lungo un sentiero mentre gli altri due amici ne avevano preso un altro. L’idea era quella di ritrovarsi tutti insieme in serata proprio presso la malga. Qualcosa, però, era andato storto. Le norme di caccia agli ungulati consentono di sparare da un’ora prima dello spuntare del sole fino a un’ora dopo il tramonto. Quest’ultimo limite, quel giorno, era fissato alle 20.37. Secondo la Procura, quel tragico lunedì prima delle 20, quindi lontano dal limite temporale fissato per legge, Darin e il terzo amico si sarebbero fermati una cinquantina di metri sotto la malga ritenendo di aver notato un ungulato seminascosto tra la boscaglia. L’ipotesi avanzata dagli inquirenti è che a quel punto Darin abbia preso la mira ed esploso un colpo con la sua carabina da una cinquantina di metri di distanza dalla presunta preda. A essere colpito, però, non fu un cervo ma Penasa.
Ma la ricostruzione non convince i familiari come scrivono nella missiva. «Per gli inquirenti è ordinaria amministrazione — scrivono — gli incidenti di caccia purtroppo sono frequenti e, a quanto pare per il giudice sono cose che capitano, non azioni criminali di un incosciente che spara a casaccio», I toni della lettera sono duri, i familiari sollevano dubbi sull’ipotesi di un incidente, parlano di «omicidio», inoltre non convincono i tempi della chiamata dei soccorsi. «La distanza tra chi ha sparato e la vittima era tale che un cacciatore esperto non può sbagliare tanto più che il fucile era munito di canocchiale». Così scrivono i familiari, ma la giustizia ha fatto il suo corso e ora il triste e doloroso caso si sposta sul tavolo del giudice civile.