I MODERNI SERVI DELLA GLEBA
La letteratura può condurci con forza in due terreni opposti, quelli della realtà romanzata (che rimane ancorata alla concreta esperienza quotidiana) o della pura immaginazione. Nel primo caso, in genere riesce ad aprire un utile squarcio di umanità nell’interpretazione di fenomeni noti ma non interamente percepiti in tutta la loro valenza. Oggi, purtroppo, il lavoro è troppo spesso ridotto a merce di cui «bisogna» abbassare il più possibile il costo, ma tendiamo perlopiù a sorvolare sugli effetti di una simile impostazione. «È il mercato, bellezza, e tu non ci puoi far niente», diciamo parafrasando la celebre frase di un film degli anni Cinquanta, consegnandoci all’involuzione. Già, perché la finta modernità ci riporta indietro di secoli. Questo ci racconta «Gleba» (Pendragon editore), il nuovo romanzo di Tersite Rossi, collettivo di scrittura composto da Mattia Maistri e Marco Niro, presentato ieri a Trento. «Portiamo i lettori nella prospettiva apocalittica di una tech-gleba», hanno detto gli autori alla nostra Gabriella Brugnara nell’intervista pubblicata martedì nella pagina della cultura. Faro acceso sulla retorica delle nuove tecnologie che avrebbero dovuto liberare noi e il nostro tempo, «oltre a dare impulso ai processi democratici». Non è così, ahimè, e allora gli scrittori riesumano con qualche ragione la dicotomia padroni-lavoratori. A scanso di equivoci, sul banco degli accusati non va messo il progresso ma l’assenza di un saggio governo del cambiamento.
Essersi inchinati alla narrazione strumentale di chi costruiva potenti monopoli spacciando la vecchia bugia della libertà frutto dell’assenza di regole ha prodotto i guasti del presente. Perché l’assenza di regole nella migliore delle ipotesi è anarchia, nella peggiore (e assai più frequente) è sopraffazione del potente ai danni del più debole. Vediamo così come la «sharing economy», l’economia della condivisione, si sia largamente tradotta nella «gig economy», l’economia dei lavoretti. Inizialmente sembrava un’ottima soluzione che consentiva di arrotondare gli stipendi full-time o di guadagnare qualcosa a chi, perché studia o ha impegni familiari, non vuole un’occupazione tradizionale. Ma quando si abbassa l’asticella si fissano parametri al ribasso che poi gli speculatori adottano a proprio piacimento. La logica del massimo ribasso sta causando danni enormi negli appalti pubblici dove i risparmi avvengono sulle spalle dei lavoratori, ma un po’ ovunque (pensiamo ai settori della ricettività o del commercio) perché pochi si chiedono chi paga il prezzo degli sconti che ci vengono praticati. È ovvio che un processo globale richieda una regolamentazione altrettanto globale, tuttavia ciò non significa che i sistemi locali debbano essere inermi e subire tutto. Abbiamo constatato come sia possibile ricondurre almeno parzialmente Airbnb a rispettare i propri doveri fiscali, mentre il Comune di Bologna qualche risultato lo ha ottenuto nella battaglia per riconoscere i diritti dei «riders» che consegnano a domicilio pacchi e cibo. Molto si può fare sul fronte della sensibilizzazione, affinché cresca la consapevolezza delle responsabilità del consumatore. Non sarà facile cambiare la rotta di una nave che mostra molti vantaggi e nasconde gli svantaggi, ma se l’umanità è riuscita a liberare i servi della gleba senza far sparire l’agricoltura, dobbiamo lottare per un futuro più giusto. È questo, tra l’altro, il modo migliore per sostenere l’innovazione e non alimentare assurde forme di luddismo.