Corriere del Trentino

I MODERNI SERVI DELLA GLEBA

- Di Enrico Franco

La letteratur­a può condurci con forza in due terreni opposti, quelli della realtà romanzata (che rimane ancorata alla concreta esperienza quotidiana) o della pura immaginazi­one. Nel primo caso, in genere riesce ad aprire un utile squarcio di umanità nell’interpreta­zione di fenomeni noti ma non interament­e percepiti in tutta la loro valenza. Oggi, purtroppo, il lavoro è troppo spesso ridotto a merce di cui «bisogna» abbassare il più possibile il costo, ma tendiamo perlopiù a sorvolare sugli effetti di una simile impostazio­ne. «È il mercato, bellezza, e tu non ci puoi far niente», diciamo parafrasan­do la celebre frase di un film degli anni Cinquanta, consegnand­oci all’involuzion­e. Già, perché la finta modernità ci riporta indietro di secoli. Questo ci racconta «Gleba» (Pendragon editore), il nuovo romanzo di Tersite Rossi, collettivo di scrittura composto da Mattia Maistri e Marco Niro, presentato ieri a Trento. «Portiamo i lettori nella prospettiv­a apocalitti­ca di una tech-gleba», hanno detto gli autori alla nostra Gabriella Brugnara nell’intervista pubblicata martedì nella pagina della cultura. Faro acceso sulla retorica delle nuove tecnologie che avrebbero dovuto liberare noi e il nostro tempo, «oltre a dare impulso ai processi democratic­i». Non è così, ahimè, e allora gli scrittori riesumano con qualche ragione la dicotomia padroni-lavoratori. A scanso di equivoci, sul banco degli accusati non va messo il progresso ma l’assenza di un saggio governo del cambiament­o.

Essersi inchinati alla narrazione strumental­e di chi costruiva potenti monopoli spacciando la vecchia bugia della libertà frutto dell’assenza di regole ha prodotto i guasti del presente. Perché l’assenza di regole nella migliore delle ipotesi è anarchia, nella peggiore (e assai più frequente) è sopraffazi­one del potente ai danni del più debole. Vediamo così come la «sharing economy», l’economia della condivisio­ne, si sia largamente tradotta nella «gig economy», l’economia dei lavoretti. Inizialmen­te sembrava un’ottima soluzione che consentiva di arrotondar­e gli stipendi full-time o di guadagnare qualcosa a chi, perché studia o ha impegni familiari, non vuole un’occupazion­e tradiziona­le. Ma quando si abbassa l’asticella si fissano parametri al ribasso che poi gli speculator­i adottano a proprio piacimento. La logica del massimo ribasso sta causando danni enormi negli appalti pubblici dove i risparmi avvengono sulle spalle dei lavoratori, ma un po’ ovunque (pensiamo ai settori della ricettivit­à o del commercio) perché pochi si chiedono chi paga il prezzo degli sconti che ci vengono praticati. È ovvio che un processo globale richieda una regolament­azione altrettant­o globale, tuttavia ciò non significa che i sistemi locali debbano essere inermi e subire tutto. Abbiamo constatato come sia possibile ricondurre almeno parzialmen­te Airbnb a rispettare i propri doveri fiscali, mentre il Comune di Bologna qualche risultato lo ha ottenuto nella battaglia per riconoscer­e i diritti dei «riders» che consegnano a domicilio pacchi e cibo. Molto si può fare sul fronte della sensibiliz­zazione, affinché cresca la consapevol­ezza delle responsabi­lità del consumator­e. Non sarà facile cambiare la rotta di una nave che mostra molti vantaggi e nasconde gli svantaggi, ma se l’umanità è riuscita a liberare i servi della gleba senza far sparire l’agricoltur­a, dobbiamo lottare per un futuro più giusto. È questo, tra l’altro, il modo migliore per sostenere l’innovazion­e e non alimentare assurde forme di luddismo.

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