Duncan, icona senza tempo Sgarbi: «Mostra popolare»
Mart In mostra da domani opere ispirate alla ballerina americana, da Depero a Renoir e Severini Orgoglioso Sgarbi: «Questa esposizione parla a tutti. Vorrei che fosse un museo sempre più pop»
Donna, danzatrice, musa. L’icona senza tempo di Isadora Duncan torna a vivere nella mostra a lei dedicata inaugurata ieri al Mart di Rovereto. La danzatrice americana, pioniera della danza moderna che si spoglia delle scarpette con la punta in gesso e delle voluminose gonne in tulle per andare alla ricerca di un movimento più libero, a cavallo tra la modernità del Novecento e il gusto dell’antico, è stata nel corso della sua vita musa ispiratrice di una serie di grandi artisti, rimasti affascinanti dalla sua travolgente energia artistica e vitale.
«Danzare la rivoluzione. Isadora Duncan e le arti figurative in Italia tra Ottocento e avanguardia» è il titolo della mostra curata da Maria Floria Giubilei e Carlo Sisi e realizzata in collaborazione con la Fondazione CR Firenze e rappresenta per il presidente Vittorio Sgarbi il vero e proprio cuore della programmazione «Autunno caldo», la prima realizzata al Mart dopo la sua nomina. «Questa mostra parla a tutti, vorrei che gli studenti venissero a visitarla. Spero che questo sia il primo passo verso un Mart sempre più popolare - ha dichiarato lo storico dell’arte - visto che io sono un presidente “pop”, pur non avendo nulla a che fare con la Pop art».
Il significativo legame che la danzatrice ebbe con l’Italia è qui ben rappresentato dalla presenza di numerosi astisti italiani o che con lei vissero nel nostro paese. Così lo scenografo e artista Edward Gordon Craig, suo compagno tra il 1905 e il 1907, con cui vive a lungo a Firenze, o gli artisti Plinio Nomellini e Romano Romanelli, che rimangono affascinati dalle sue movenze e dalla sua danza mentre la Duncan era ospite in Versilia da una sua cara amica, la grande attrice Eleonora Duse. L’intera esposizione intreccia arte e vita, offrendo al pubblico non solo capolavori di Auguste Rodin, Umberto Boccioni, Fortunato Depero, Felice Casorati, Giò Ponti, Eugène Carrière, Francesco Messina, Francesco Nonni, Antonio Maraini, Libero Andreotti, Giuseppe Cominetti, Mario Sironi e moltissimi altri, ma anche documenti e fotografie inedite per oltre 170 opere che promettono di raccontare la personalità carismatica e ribelle della «danzatrice scalza» californiana, paladina di una danza svincolata da qualsiasi condizionamento sociale e di un ruolo di donna forte e capace.
La figura di Isadora Duncna diventa dunque elemento ispiratore non perché oggetto sensuale o sessuale, ma proprio per il suo essere portatore di una nuova natura del movimento e dell’intuito femminile in senso lato. Così il sovratitolo dato alla mostra «Danzare la rivoluzione», scelto dal direttore del Mart Gianfranco Maraniello e tratto da una frase di Margherita Sarfatti, critica d’arte legata a Benito Mussolini e anch’essa al centro di una recente mostra tematica del museo di Rovereto, ben riassume l’elemento di rottura che la Duncan rappresentò per l’epoca.
La mostra inoltre raccoglie idealmente l’eredità dell’iconica esposizione del 2005 da titolo «La danza delle avanguardie», all’interno della quale una sezione era dedicata proprio alla Duncan. I legami tra la danzatrice americana e il Mart si moltiplicano se si rivolge lo sguardo alle connessione tra la Duncan e il Futurismo, con il fecondo ma burrascoso rapporto con il fondatore del gruppo futurista Filippo Tommaso Marinetti e le dolorose coincidenze che la legano all’automobile, oggetto simbolo del movimento che alla Duncan costò la perdita dei due figli e la sua stessa morte, avvenuta per un foulard che, incastratosi
Un evento che mette in collegamento l’arte coreutica con la scultura, la pittura, la fotografia
nel meccanismo di una ruota, la strangolò. Un destino tragico che oggi consente di trovare una sorta di parallelismo tra la vicenda personale della Duncan e la sua esistenza artistica, viva anche al di fuori del mondo della danza proprio grazie alle opere di quanti la ammirarono.
La mostra, visitabile fino al 1 marzo 2020, fa parte della complessa programmazione «Autunno caldo» accanto all’esposizione monografica di Richard Artschwager curata da Germano Celant inaugurata la scorsa settimana , da un nuovo allestimento della collezione permanente del museo con il dialogo tra l’opera di Gino Rossi con quella di Arturo Martini e il parallelismo tra una pala d’altare di Bernardo Strozzi detto il Cappuccino con Yves Klein, installazione che verrà presentata la prossima settimana.