L’uomo che progetta robot quadrupedi: movimenti da giaguari
Andrea Del Prete, ricercatore all’università, studia e progetta prototipi umanoidi o ispirati alla mobilità degli animali «La sfida più interessante è il loro uso in caso di calamità»
TRENTO Dimenticate gli scenari distopici, a cui di solito sono associati i robot umanoidi nelle pellicole cinematografiche. La rivoluzione tecnologica odierna sta portando i movimenti di queste macchine dalle sembianze umane ad essere controllati da algoritmi sempre più sofisticati e affidabili. Sequenze di comandi informatici mimano le leggi della natura, e mettono in moto articolazioni meccaniche. È proprio alla scrittura di input capaci di far camminare i robot umanoidi che si sta dedicando Andrea Del Prete, cesenate di nascita e oggi ricercatore al Dipartimento di Ingegneria industriale dell’università di Trento.
Del Prete, come ha iniziato a muoversi nel mondo della robotica?
«Di formazione sono ingegnere informatico, laureato a Bologna. Mi sono avvicinato ai robot all’università, giocando ad assemblare e programmare lego robotizzati. La prima esperienza professionale è arrivata nel 2003. Ho vinto la borsa di studio per un dottorato di ricerca all’Istituto italiano di tecnologia di Genova, un’eccellenza nel campo della robotica. Mi sono da subito trovato a contatto con un robot umanoide che riproduceva un bambino. Una struttura intelligente nata per studiare come i più piccoli acquisiscono capacità cognitive legate alla generazione del moto. Sono passato poi a strutture sempre più complesse, lavorando tra Tolosa e la Max Planck Society di Tubinga. Oggi progetto gli algoritmi che sviluppano nei robot umanoidi, dotati di due gambe, facoltà di controllare i movimenti. Negli anni, però, ho conosciuto anche i robot quadrupedi. Uno di questi, HyQ, passerà presto dall’Istituto di Genova all’università di Trento. Ci lavorerò io stesso».
Crede che il Trentino abbia le potenzialità per contribuire ad avanzamenti nell’ambito della robotica?
«Le opportunità ci sono. Sono riuscito a spostare a Trento parte del budget e un prestigioso progetto europeo, il Memmo project (acronimo inglese di Memoria del Movimento), coordinato da un consorzio di istituti di ricerca francesi, svizzeri, inglesi, tedeschi e spagnoli. Il programma studia gli arti per replicarne la complessità motoria umana nei robot. Ha l’ambizione di generare nuovi algoritmi. L’università di Trento sarà l’unica realtà italiana a contribuire a questo progetto. Se c’è la volontà, Trento potrebbe arrivare farsi riconoscere come hub italiano della robotica. Intanto, da quest’anno partirà un corso opzionale in materia, inserito nel corso di laurea magistrale in ingegneria industriale».
In che cosa possono semplificare la vita dell’uomo i robot bioispirati, siano essi umanoidi (macchine che riproducono il corpo umano) o quadrupedi?
«Con gli umanoidi, al momento, siamo a prototipi di ricerca: ancora non si considera la loro applicazione nell’industria. In futuro, saranno robot molto versatili. Il quadrupede, invece, ha a suo vantaggio una struttura più stabile, e un movimento leggero ispirato a cani, cavalli o giaguari. Questi robot sono oggi utilizzati per sostituire i guardiani notturni, per esempio. In particolare, nella sorveglianza dei perimetri aziendali o nel monitoraggio di ambienti difficilmente raggiungibili, come le piattaforme petrolifere. Qui, se rilevano qualcosa di anomalo, lo riportano ad un operatore remoto. Tuttavia, la sfida più interessante è l’applicazione di robot camminatori in situazioni di disaster recovery, a seguito di calamità naturali (HyQ, il robot che arriverà a Trento, è stato testato per questa funzione, ndr)».
Meccanica Sono riuscito a spostare a Trento il progetto Memmo. Analizziamo gli arti per replicarne la complessità motoria
Sicurezza Privacy? I robot quadrupedi, oggi, stanno a contatto con pochi operatori. Il problema sarà in ambiente domestico
L’ingresso dei robot nella società si accompagna a diversi interrogativi riguardanti, in primo luogo, la sicurezza degli esseri umani. Ma anche la loro privacy, vista la capacità di alcune macchine di raccogliere dati biometrici, grazie a videocamere o microfoni installati.
«Il problema della privacy non è uno degli scogli imminenti. I robot quadrupedi, oggi, stanno a contatto con pochi operatori. Se ragioniamo in termini di applicazioni più avanzate, come in ambiente domestico, allora sì che occorrerà lavorare sulla garanzia della privacy. Ma passerà molto tempo, prima di vedere robot così sofisticati nelle nostre case. La principale sfida riguarda la sicurezza: trattandosi di strutture con peso anche di 90 chili, occorre garantirne la totale affidabilità e l’equilibrio. Altrimenti si rischiano danni seri a chi li circonda».