Corriere del Trentino

«La bicicletta rossa», Francescot­ti racconta il quartiere della Busa

Gli abitanti, i mestieri e le trasformaz­ioni: quarant’anni di vita di quartiere

- Vernaccini

La Busa, il quartiere più piccolo di Trento, è in una zona po’ defilata che forse non tutti conoscono. E Renzo Francescot­ti, scrittore, storico e poeta trentino abita proprio sul suo limitare. Vi giunge nel 1968 e «quindi ci abito da oltre mezzo secolo – sottolinea – di fronte a quella che nel mio ultimo romanzo, La bicicletta rossa, nomino come trattoria alla Pergola, in quanto ultimo locale con pergola rimasto a Trento».

Lui che di quartieri se ne intende – li ha studiati e descritti nei suoi precedenti libri Gente di quartiere (1980) e I rioni di Trento (1999) – non poteva non dedicare un libro proprio e solo alla sua Busa. «Mi sono innamorato di questo microcosmo carico di storia e vi ho conosciuto personaggi che figurano nel romanzo come Valentino Stolfi, smilzo e con la taglia da scalatore, e sua moglie Gina, i fratelli Tonezzer e altri. Solo Vasco e Dalia Dal Sasso sono liberament­e immaginati», confessa.

Per tutti i suoi romanzi la narrazione è frutto di lunghe ricerche storiche che crescono piano piano assieme a una quotidiana condivisio­ne con la realtà da descrivere. Così è stato per molte storie di altri quartieri di Trento, come quelli della Portela e di San Martino che sono entrati in un altro suo romanzo, Lo spazzacami­no e il Duce (2006), e così è per questo, La bicicletta rossa.

Maturato in quarant’anni, dal suo arrivo alla Busa a oggi, lo ha poi scritto nell’arco di pochi mesi, quasi un regalo che Francescot­ti si fa per i suoi ottant’anni, la sintesi del suo migliore stile narrativo. La scrittura è quella sciolta di chi ormai può solo lasciar scorrere la penna e, come ormai i suoi romanzi ci hanno abituato, ricorrenti sono l’uso del dialetto e gli intermezzi più poetici espressi in versi lirici.

Leggendo questo libro viene subito da andare a vedere se gli scritti coincidono con i suoi ricordi. Se proviamo però oggi ad entrare nella Busa è difficile, se non impossibil­e, ritrovare quella varietà umana ed economica che Francescot­ti descrive – i taiapreda, il marmista, la giornalaia, il pastaio e ancora lo stesso Valentino Stolfi che fa un po’ da filo rosso per la sua coerenza morale. «Con la scomparsa degli anziani e l’arrivo di altra gente nel rione, di altri ceti sociali non è rimasto niente delle spirito libertario della tribù dei Busaròi», spiega lo scrittore.

Eppure, è comunque emozionant­e provare a camminare tra le sue poche case, le stradine, superare il crociccchi­o, il crosarol, affacciars­i su el Zàmbel formato dall’acqua della Fersina. Non solo le persone, ma anche gli edifici sono infatti protagonis­ti di queto. sta piccola comunità che Francescot­ti descrive nei minimi particolar­i fin dalle prime pagine, quando invita il lettore a disegnarsi il quartiere e poi a bere in trattoria: «Offro io». Ed è così che ci regala un intenso quadro di storia.

Un importante lavoro di memoria, dunque, per evitare che la storia venga spazzata via: la storia diventa un racconto animato da molti personaggi che i giovani non hanno conosciuto, ma da cui possono trarre insegnamen­E poi c’è la cronaca degli avveniment­i politici che portano il lettore a (ri)vedere la Befana fascista, le parate trentine di regime per l’anniversar­io della marcia su Roma, perché il colore della bicicletta, quel rosso, ci dice che la Busa è anche un quartiere popolare tra i «più caldi».

Questo ultimo titolo di Francescot­ti rappresent­a un ulteriore tassello sulla tema della libertà e della lotta di classe che contraddis­tingue da sempre la sua produzione letteraria come anche quella teatrale, negli spettacoli del Gruppo Neruda. Lo mette bene in risalto Sandro Schmid nella prefazione al romanzo, dove conclude che Francescot­ti «è sempre stato un uomo orgogliosa­mente libero. La libertà è dentro di lui, la ritroviamo in tutti i suoi scritti». In queste pagine, infatti, leggiamo: «Alla Busa puoi conoscere il punto di vista dei comunisti» perché i Busaròi sono «una minuscola tribù, una tribù di libertari (…) che ha sempre sofferto di allergia per i potenti».

«La Busa non può morire, ma sarà tutto diverso. Ristruttur­eranno i vecchi edifici, il casón, il marmificio, il lanificio e vi verranno ad abitare altri che non sapranno niente della sua storia», ma per fortuna rimane La bicicletta rossa.

L’autore

Ci abito da mezzo secolo e me ne sono innamorato

 ??  ??
 ??  ?? Il rione La Busa è un piccolo quartiere con le case incastonat­e in una piega rocciosa ai piedi del Calisio. A fianco una foto d’epoca
Il rione La Busa è un piccolo quartiere con le case incastonat­e in una piega rocciosa ai piedi del Calisio. A fianco una foto d’epoca
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy